È uscita recentemente per Lupoguido la raccolta George e Martha di James Marshall, a cura di Sergio Ruzzier, che ha già fatto incetta di elogi e recensioni positive.

Sapevo dai social che Ruzzier stava lavorando a questa raccolta, ma sono riuscita a procurarmi l’originale solo poco tempo fa. La raccolta americana raggruppa i sette volumi pubblicati da Mashall tra il 1972 e il 1988, ciascuno dei quali contiene a sua volta cinque storie. La raccolta italiana contiene le prime quattro di queste sette raccolte, in ordine cronologico, con la promessa che le restanti tre arriveranno presto in un secondo volume. 

Devo dire che mio figlio di sei anni e mia figlia di quattro si sono subito innamorati di George e Martha e sono giorni che non leggiamo altro, mattina pomeriggio e sera. Ma non sono gli unici ad esserne stati rapiti: anch’io mi sono ritrovata spesso a ripensare a queste storie e a sorridere o annuire tra me e me. 

La riflessione che vi propongo oggi non parla direttamente di traduzione, ma nasce da una domanda semplice che mi sono posta leggendo: mi aveva immediatamente colpito il fatto che, nell’originale, le parole friend o friendship comparissero sempre verso la fine, e così ero andata a “controllare” (mi si perdoni il termine!) dove e quando questo accadesse e come era stato reso in italiano. Nessuna grande sorpresa: Ruzzier ha mantenuto amica, amico o amici per ogni friend o friends dell’originale.

Guardiamo la storia di apertura: a Martha piace molto preparare la minestra di piselli, che George invece detesta, ma la mangia ugualmente per non offendere l’amica. Un giorno però, dopo averne mangiati dieci piatti, George non ne può più e svuota l’undicesima scodella nelle pantofole sotto il tavolo. Peccato però che Martha, dalla cucina, l’abbia visto e senza peli sulla lingua chiede subito come pensa di andare a casa, con le pantofole piene di minestra. Segue il chiarimento: George confessa a Martha di detestare la zuppa di piselli e di mangiarla solo per non offenderla. Al che si scopre che neanche a Martha piace mangiarla, le piace solo farla! E i due amici, chiaritisi, si risiedono insieme a mangiare dei biscotti al cioccolato:

«“Vuoi qualche biscotto al cioccolato, invece?” chiese Martha.

“Che bell’idea” rispose George

“Eccoli qua, allora” disse la sua amica»

E con la parola «amica» (o amico, amici, amicizia) si conclude non solo la prima storia, ma anche una buona parte delle successive. E non penso proprio che sia una questione di variatio o di evitare la ripetizione, perché per il resto troviamo una sfilza di «disse Martha» e «disse George» senza nessun problema. Insomma, trovo significativo che in alcuni punti speciali Marshall utilizzi esplicitamente il termine amico o amica per riferirsi, appunto, ai due amici

Il tema dell’amicizia è stato rilevato da tutti in queste storie, insieme alla caratteristica della leggerezza, una leggerezza che si contrappone alla stazza dei due ippopotami. Uno dei protagonisti di quest’anno, Italo Calvino, nel suo saggio sulla leggerezza afferma che:

«Nel momento in cui il regno dell’umano mi sembra condannato alla pesantezza, penso che dovrei volare con Perseo in un altro spazio. Non sto parlando di fughe nel sogno o nell’irrazionale. Voglio dire che devo cambiare il mio approccio, devo guardare il mondo con un’altra ottica, un’altra logica, altri metodi di conoscenza e verifica»

Ed è proprio questo che le avventure di George e Martha ci chiamano a fare: guardare il mondo con un’altra ottica e un’altra logica, cambiare prospettiva, soprattutto in seguito ad un momento di pesantezza. Nello specifico, la nuova prospettiva di queste raccolte è proprio quella dell’amicizia. 

Quando succede qualcosa di “pesante” tra i due amici (un litigio, un fraintendimento, uno scherzo non gradito), segue un altro avvenimento che innesca il cambiamento di prospettiva che permette di riaffermare l’amicizia. E questo riaffermarsi dell’amicizia è ribadito proprio dal fatto che, nelle conclusioni, i due amici non vengono nominati per nome ma come «l’amico» o «l’amica». 

Tutte queste parole per esplicitare qualcosa che in realtà viene sentito immediatamente da chi legga anche solo una di queste brevi avventure, ma noi adulti, si sa, complichiamo sempre le cose…

 


*Anna Aresi è traduttrice, insegnante e mamma di figli trilingui. Per Scaffale Basso cura Parole in ridda, una rubrica dedicata alla traduzione dei libri per l’infanzia. Residente da tempo negli Stati Uniti, lavora da anni con famiglie plurilingui e segue bambine e bambini
nell’apprendimento dell’italiano fuori dall’Italia.

 

 

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