I gruppi di lettura sono una grande occasione per coltivare la propria passione, ma anche per accrescere il proprio occhio critico. Sia che si tratti di un libro letto individualmente sia che si cerchino albi illustrati su un tema particolare, il clima paritario con cui si discute e ci si pone davanti ai diversi libri arricchisce ogni persona che accetti di lavorare e investire del tempo su un argomento, una pagina, una illustrazione.
Un esempio che mi ha sempre colpito nei miei incontri di Scoprirsi Bambini è che se all’inizio le tematiche affrontate nei diversi gruppi riguardano sempre temi abbastanza comuni (“mamma”, “lupi”, “nonni”…), con l’andare del tempo ci si arrischia su temi trasversali (rosso, tedeschi, nero, silenzio, risguardi) che, se al momento spaventano, si rivelano poi fonti di grandi scoperte. Il requisito fondamentale perché questo avvenga però è il desiderio di studiare, riflettere ed è per questo che tema dopo tema, ho sempre cercato di proporre agli incontri di Scoprirsi Bambini uno spunto di riflessione iniziale, un piccolo seme che potesse regalare un punto di vista diverso.
Non si tratta di formazione (che deve avere tutt’altra struttura e un approccio radicalmente più profondo alla materia!), ma la riflessione e l’apprendimento cooperativo deve comunque essere guidato in modo interessante e non neutro, perché le risorse di ciascuno possano attivarsi.
In particolare il tema “risguardi” è stato per me estremamente interessante, perché nel lungo percorso dei miei studi e del mio insegnamento della lingua e della letteratura ho sempre cercato di portare l’attenzione su quelle parti del libro che tecnicamente sono considerate paratesto, cioè “complementari” al testo (per i primi rudimenti leggete questo articolo di Anna Castagnoli a riguardo degli albi illustrati). L’oggetto libro è composto da diverse parti e non è vero che la forma che esso prende di volta in volta è ininfluente: il contenuto è certo il cuore pulsante, ma il frontespizio, il titolo, l’indice, la dedica… sono tutti elementi che permettono al libro stesso di presentarsi, di parlare di sé e di chi il libro lo ha fatto in modo intimo e forse meno eclatante, ma non per questo meno importante.
Era così nei testi settecenteschi e lo è tuttora e i risguardi degli albi ne sono un esempio interessante.
Il risguardo, il «foglio piegato che nelle legature cartonate di un libro viene incollato per la metà della superficie sul retro del piatto e per una striscia di circa un centimetro sulla prima e ultima segnatura permettendo così la tenuta del blocco libro alla copertina» introduce sostanzialmente il lettore nel libro e lo congeda alla sua conclusione, unendo la copertina alle pagine: è la soglia del libro.
A differenza del testo, che gode di una certa libertà, il paratesto e, in particolare, i risguardi (o sguardie) devono rispettare alcuni vincoli tecnici molto rigidi e in parte, purtroppo, sono considerati sacrificabili o ininfluenti.
In molti casi le sguardie sono semplici fogli bianchi o di colore neutro che passano inosservati, in altri, ad esempio, l’impaginazione dei testi esonda il numero di pagine tipograficamente permesse (multipli di 4) e l’ultimo risguardo viene stampato come se fosse una pagina del testo, lasciando un senso di interruzione improvvisa. In altri casi ancora, per la stessa ragione, il risguardo iniziale ospita la dedica, il colophon… divenendo di fatto una pagina di servizio.
Tralasciando questi casi particolari ma non rari, vorrei offrirvi qualche esempio di cosa potranno raccontarvi i diversi tipi di sguardie, quando – diremmo linguisticamente – sono significanti, ovvero quando offrono un significato al lettore:
1) Nei casi apparentemente più semplici, i riguardi si assumono la responsabilità di introdurre un gusto, una sensazione, un colore, un quid che caratterizza e caratterizzerà la storia in modo peculiare, attraverso la scelta di un colore o un pattern geometrico. Penso all’arancione fluorescente di Beatrice Alemagna ne Un gran giorno di niente o alle trame lineari ne Il Natale di Marguerite. In questo caso le sguardie sono la cornice che esalta l’opera contenuta.
2) Dello stesso genere, ma portatori di un desiderio più spiccatamente narrativo sono i casi in cui la scelta delle sguardie iniziali, pur mantenendo uno stile decorativo si discosta da quelle finali. In Vazio la stampigliatura romboidale si trasforma in cuori, in Cosa ci sta in ventuno per ventotto centimetri? Gaia Stella “prende le misure” con un metro da tessitore che avvolge idealmente il testo nella sua interezza. Beatrice Alemagna, dopo averci dato il sapore acceso della protagonista con il fucsia in apertura de Il meraviglioso Ciccia Pelliccia, conclude con una foto di gruppo finale.
3) Mantengono il ruolo introduttivo anche i casi di presentazione dei personaggi, come in una sorta di canovaccio teatrale. L’esempio più curioso è certamente quello di Di qui non si passa.
4) Nei silent book, spesso nei wimmelbuch, questi spazi sono utilizzati come soluzioni a domande che il testo pone direttamente o indirettamente: Indovina chi ha ritrovato Orsetto di Gerda Muller ne è l’esempio più lampante. In libri di stampo divulgativo, invece, si possono trovare curati approfondimenti come nel caso del gioco di abbinamento presente ne La festa dei frutti. In questo caso la funzione delle sguardie è quella esplicativa che in un testo argomentativo affideremo alle note a piè di pagina.
5) In casi più elaborati i risguardi raccontano l’antefatto della storia, le azioni e gli accadimenti considerati preparatori all’ingranare della narrazione e alla sua conclusione: fondamentale in questo caso è apprezzare/notare il cambiamento che nelle sguardie iniziali e finali avviene.
Possono richiamarsi in modo circolare come nel caso di A caccia dell’orso dove il mutare del medesimo sfondo racconta il trascorrere del tempo e un compimento narrativo o in modo assai simile ne Il vento dove il cambiamento di un dettaglio riassume l’intera vicenda.
In altri casi possono anche tracciare anche un percorso progressivo come accade in Chiedimi cosa mi piace dove al momento introduttivo pre-narrativo, segue nel fondo l’abbandono onirico naturalistico al sogno.
Oppure segnare la cornice narrativa esterna, come nel caso di Linee di Suzy Lee.
Insomma imparare a leggere un libro non è solo questione di saper decifrare l’alfabeto e, pur tralasciando la lettura delle immagini (che da sola meriterebbe e merita una lunga disquisizione!), il libro ci racconta molte cose di sé attraverso le scelte considerate accessorie e che se osservate con curiosità permettono di godere più a fondo del significato che solo i dettagli sanno veicolare.
Se un po’ vi ho incuriosito, non perdetevi i prossimi appuntamenti di Scoprirsi Bambini, vi aspetto!
Grazie a te!
Grazie, vi seguo da lontano!
Ma che meraviglia!!!
Grazie.
Attendo i prossimi appuntamenti.