Un grande giorno di niente. Quello che mi aspetta domani è un grande giorno di niente, parto e per 10 ore starò in aereo con mio marito e mio figlio Saverio e quando sbarcherò tutto il giorno sarà passato senza che probabilmente sia accaduto niente di eclatante. Sarà così? Molti giorni della vita scorrono così: si arriva a sera e se qualcuno ti chiede cosa è successo si ha l’amara consapevolezza di non ricordare niente che sia emerso dal lento, piatto, inesorabile scorrere del tempo. Tutto è andato «come sempre». Quella di cui ci parla Beatrice Alemagna nel suo ultimo libro, con quel suo solito gesto inconsapevole per cui tutto sembra facile, semplice, naturale è la grande sfida della libertà. E ce ne parla come al solito con una disarmante evidenza per cui, alla fine del libro, ci si chiede stupefatti come abbia fatto per l’ennesima volta a raccontare una storia comprensibile e appassionante e nello stesso tempo lasciarci pieni di domande e voglia di vivere la nostra giornata.

«Eravamo lì per la centesima volta. Io e mia madre nella solita casa di vacanza. Con la solita foresta e la solita pioggia». È un maschio questa volta il protagonista della storia di Beatrice, un ragazzetto più vicino ai 10 anni che ai 5 che riempie le sue giornate di avventure elettroniche mediate dallo schermo. La mamma impegnata al suo lavoro al computer «come sempre… ha brontolato “Smettila con quel gioco! Devi proprio stare lì tutto il giorno a non far niente?”». Ed ecco che controvoglia, forse per ripicca o più semplicemente meditando un allontanamento tattico dalla madre, il nostro protagonista, cappuccio arancione fluorescente ben calcato in testa, esce sotto l’acqua nel fango della collina. La pioggia è battente e sfuma i contorni delle piante più lontane, quasi nascondendole (l’effetto a sfumare con gli scuri vicinissimi e il tenue bianco finale rende alcune tavole veri e propri tunnel nel bosco!), il bambino avanza, scende, inciampa… si dirige verso un laghetto: «affioravano sassi tondi come le teste dei miei marziani». Proprio saltando da una testa di marziano all’altra il videogioco del protagonista cade in acqua. «No! No! No! Tragedia delle tragedie! Il peggio che poteva capitarmi! Che scemo!». È un attimo, eppure TUTTO, nell’irruente giovinezza, sembra perduto. Ma proprio mentre la frustrazione quasi consuma il bambino, la mano appoggiata a terra lo fa sussultare: c’è un mondo qui intorno!

«In quel momento, in mezzo al temporale, mi sono apparse! Lumache giganti sotto la pioggia». E poi funghi e la terra che brilla: «ci ho affondato le mani. Allora ho sentito grani, granelli, grumi, radici e bacche brulicare sotto le dita. Un mondo sotterraneo pieno di micro-cose sconosciute… potevo toccarlo». Potevo toccarlo! Ecco allora che il tatto riattiva l’idea che il mondo sia vero, vivo… tuo. «Ogni cosa era come nuova».

Corse, graffi, caldo, freddo, ruvido, umido, fresco, puzzolente, sporco, trasparente…

E quando poi si torna stancamente a casa, il primo ad accoglierti è il ricordo felice e sorridente di un papà che forse non c’è più. E poi la mamma, la mano della mamma, le orecchie della mamma, gli occhi della mamma.

La storia è raccontata in prima persona, un’importante scelta d’intimità che il personaggio condivide con il lettore. È una storia ricca e paradigmatica eppure così semplicemente naturale. Giocare la propria libertà e vivere, vivere intensamente, illumina e rende speciale tutto, perché ogni cosa è gratuitamente ricevuta, ogni cosa è fatta per te.

Toccanti le figure dei genitori che, tutt’altro che secondarie, permetto lo svolgersi della libertà del proprio figlio: sono loro che provocano, che indicano, che invitano il nostro protagonista a lanciarsi alla scoperta nel mondo, sono loro che a sera lo riaccolgono quasi senza fare domande, ma con il desiderio di ascoltare.

Un altro elemento che mi colpisce sempre nei lavori di Beatrice è che intorno alla storia c’è un mondo indipendente che chiede solo di essere osservato. C’è una “generosità illustrativa” che appoggia piccoli oggetti sui mobili, che abbandona per terra piccole palline di polline o fogliette cadute dalle piante, che ricama con cura le fantasie dei cuscini, che dispone vasetti di piante e fiori sui davanzali, e ciuffi d’erba insistenti accanto ai sassi per terra… un universo di dettagli entro cui perdersi e che rendono così verosimile e vera ogni storia, che sembra di trovarsi proprio lì, con i piedi nel fango e l’acqua che cola sulla schiena. Bellissime le sequenze di movimenti e davvero notevole il lavoro fatto intorno ai giochi di luce (nella pioggia!) che a volte “sporcano” i contorni, a volte li rifrangono, a volte li illuminano di riflessi. L’impressione complessiva che si ha davanti alle grandi tavole è proprio di luce naturale, quella chiazzata dei temporali, che illumina e oscura nello stesso istante. Straordinari i giochi di prospettiva dove ciò che è grande diventa piccolo e viceversa, in un continuo riflettersi: un’espediente illustrativo che si accorda perfettamente con l’impressione del bambino di trovarsi in un meraviglioso mondo fantastico.

Insomma: davvero un capolavoro di bellezza, che fa venir voglia di vivere, vivere, vivere, toccare, guardare, vivere.

Insomma grazie Beatrice! Chissà cosa mi aspetterà domani in aereo!

Un grande giorno di niente
Beatrice Alemagna

48 pagine
Anno: 2016

Prezzo: 20,00 €
ISBN: 9788898523566

Topipittori editore

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