SBROGLIARE - l'ossatura della storia

SBROGLIARE – l’ossatura della storia

Con i ragazzi di terza elementare, nel ritrovarsi dopo le vacanze, abbiamo inizialmente ripreso in mano e riguardato, attraverso la lettura libera, i libri che ci erano piaciuti di più l’anno scorso, ma non ci siamo fermati qui, infatti, guardandoci in faccia, ci siamo chiesti che cosa servisse ad un libro per appassionarci.

Abbiamo riflettuto personalmente sulle inclinazioni di ciascuno e le risposte sono state molto variegate, ma per lo più incentrate sui temi dei libri: ma davvero ci piacciono tutti i libri su un tema? Tutti i libri che parlano di calcio ci appassionano? Leggeremmo tutto il giorno libri che fanno ridere?

Allora ci siamo fermati e abbiamo fatto un passo indietro.

SBROGLIARE - l'ossatura della storia

SBROGLIARE – l’ossatura della storia

Abbiamo incominciato un lavoro sui libri senza parole (silent book): li abbiamo letti, riletti, li abbiamo commentati… poi abbiamo riflettuto sulle dinamiche che permettevano ad un libro senza parole di funzionare anche senza le parole. Togliendo il medium della scrittura, capire cosa rende una storia interessante e appassionante è stato più facile: titolo, immaginazione, filo logico, leggere bene, le parole, belle immagini, immagini realistiche.

A partire da questi punti fermi ci siamo cimentati nella produzione del nostro libro senza parole.

Armati di forbici, riviste smesse e un libriccino bianco di 8 pagine ogni bambino è stato lasciato libero di ideare la propria storia, intitolandola (passaggio di sintesi del pensiero importantissimo!).

Oltre ai risultati davvero strabilianti per originalità e creatività (ognuno a suo modo!), quello che mi ha colpito è stato vedere come i ragazzi abbiano introiettato alcune dinamiche fondamentali: bisognava segnare lo scorrere del tempo di pagina in pagina perché la narrazione filasse, il protagonista doveva essere riconoscibile, bisognava scegliere un evento interessante che facesse da cuore della storia.

Tutti i bambini, anche quelli ritenuti più lenti e quelli che si autodefinivano non creativi sono stati orgogliosi e felici di presentarmi la loro storia.

Quello che abbiamo guadagnato da questa esperienza è, a mio avviso, molto importante: da una parte ci siamo resi conto che esiste una grammatica delle immagini e delle storie e che rendersene conto è fondamentale per poter capire; secondariamente abbiamo ribadito che quello con il libro è un legame affettivo di espressione della proprio esperienza, del proprio vissuto, del proprio carattere.

Dire “mi piace”, dire “non mi piace” risulta dunque un giudizio molto sterile: “maestra, meglio dire non capisco!”. E ho detto tutto.

Se qualche editore è interessato ai diritti di qualche storia di autori in erba… io adoro il caco!

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