Il primo libro di Emily Hughes, Wild (Selvaggia per i lettori italiani), mi aveva colpito da subito per la ricchezza generosa dei colori, per i tratti morbidi, per la scelta iconografica descrittiva ma mai banale, per la tecnica di trattamento della linea… insomma si aggiunse allora nella lista degli autori/illustratori da tenere d’occhio. Tuttavia la sua storia non mi convinse fino in fondo e temevo con questo di aver stabilito un non-feeling a livello di immaginario e di storie, ma è arrivato The little gardener, un libro che tocca un punto talmente rivoluzionario che non ho più avuto dubbi.

Il grande sommovitore, il rivoluzionario del caso è appunto un piccolo giardiniere (della grandezza di un mignolino, se consideriamo che il suo amico è un vermetto rosa), che vive in un giardino che sembra più un intrico di sterpi ed erbacce: «It didn’t look like much, but it ment everything to its gardener». Significa tutto per il suo giardiniere perché il giardino è la sua casa, gli offre la zuppa e gli dà lavoro, lavoro che, pensate, lui definisce «his joy», la sua gioia. Sembrerebbe il quadro idilliaco di chi in fondo ama il proprio scarrafone, il quadro idilliaco di una vita senza intoppi e senza pretese, invece c’è un problema non indifferente, perché il piccolo protagonista «wasn’t much good at gardening». Un bel problema per un giardiniere. Eppure ogni giorno «he worked hard, very, very, hard», eccome se si dava da fare, ma il giardino è troppo grande e lui è troppo piccolo: tra tutti gli sterpi e le erbacce era riuscito a far sbocciare un unico fiore, stupendo, colorato ma… unico. «It gave the gardener hope and it made him work even harder»: perché sappiatelo il bello non è mai fine a se stesso. La bellezza smuove gli animi e il mondo e fa, come leggete, anche lavorare meglio. La speranza accompagna il piccolo giardiniere che, in lotta contro una natura ostile ed ostinata, continua a seminare, tagliare, sradicare, arare… l’impegno è massimo e nonostante ciò il giardino si secca. Inversamente proporzionale al suo impegno il destino del giardino sembra volgere al peggio. Non c’è via di scampo: è una sconfitta.

Già di per sé, se ci fermassimo qui, dovremmo ammettere che questo caso risulta più unico che raro: l’ideale del Bildungsroman, del romanzo di formazione, ci ha abituato da secoli all’idea che l’impegno nella costruzione di sé e del mondo porti a risultati positivi, mentre sono piuttosto l’ozio e la pigrizia a determinare il fallimento. Questa concezione del self made man tuttavia si scontra perennemente con l’esperienza personale: può accadere di impegnare tutte le proprie energie, le proprie capacità, le proprie risorse e fallire, ma questo non te lo racconta nessuno come qualcosa di affascinante, così quando capita ti senti doppiamente frustrato.

Torniamo alla nostra storia, perché il passaggio è cruciale e provocatoriamente rivoluzionario. A questo punto infatti il piccolo protagonista esprime un desiderio: chiederà l’intervento magico e risolutivo del mago-dio-del-verde-lussureggiante? Forse ce lo aspetteremmo e invece lui pensa: «I wish I had a bit of help». Capite? Chiede aiuto! Ormai chi lo fa più? Chi si “piega” a chiedere aiuto? Abituati a bastare a noi stessi, spesso riteniamo la richiesta d’aiuto un fallimento in sé. Vogliamo fare da noi anche se questo, in fondo, significa essere da soli.

È in quel momento che una persona “alta” vede il suo fiore, non è passante del momento questa bambina “alta” abita la casa al centro del giardino, ma evidentemente è come se non avesse mai visto il suo giardino fino a quando quel fiore rosso o quella richiesta sussurrata al cielo non l’hanno colpita, ma quel fiore rosso fa molto di più: «It gave the someone hope. It made the someone want to work harder». Così mentre il piccolo giardiniere cade in un sonno profondo la bambina “grande” aiutata da un altrettanto grande bambino, si dà da fare e «when he finally awoke»… il giardino è irriconoscibile: fiori, piante, foglie, erba verde. «This is the garden now». Il nostro protagonista riprende il suo lavoro, riprende a seminare, ma ora sa di poter chiedere aiuto e quel fiore di speranza che ora un po’ si perde tra i molti fiori colorati, potrebbe sembrare un nulla di che, «but he means everything to his garden».

Insomma come avrete capito la portata della storia mi ha entusiasmato e le illustrazioni non sono da meno: lussureggianti, mosse, colorate con quel tocco di selvatichezza che già avevamo apprezzato in Selvaggia. I segni dei pastelli, i contorni neri ben segnati e la gentilezza che, pur nell’energia, l’artista hawaiana riesce a regalare ad ogni personaggio e ad ogni filo d’erba incantano. I toni del verde, del marrone e dell’ocra fanno di questa fiaba “giardiniera” uno spazio illuminato al di fuori del tempo, per tutti: che sia notte, che sia giorno, che piova o splenda il sole la luce è immutata e piena di colore.

Unica, minima pecca, è l’effetto sgranato delle tavole: perché!?

Regalate questo libro ai bambini e insegnate loro a chiedere aiuto: insieme tutto è più bello.

#regalailtempoeunlibro #sololibribelli #librinuovipernatale

The little gardener
Emily Hughes

40 pagine
Anno: 2015

Prezzo: 14,50 €
ISBN: 9781909263437

Flying Eye Books editore
Anobii

Il piccolo giardiniere
Emily Hughes

40 pagine
Anno: 2016

Prezzo: 15,00 €
ISBN: 9788898947119

Settenove editore

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Commenti
5 Dicembre 2015
Maria

Anche io trovo che l’insistenza sul fiore che dona speranza, sia un’immagine molto forte e bellissima.
E poi l’atto di prendersi cura della natura, in un atto vicendevole… beh lo sai fai uno dei lavori più belli del mondo.

5 Dicembre 2015
lacasadifra

Emily Hughes è una forza. Io amo profondamente Selvaggia, non ho avuto difficoltà, devo dire che è un libro che si sposa benissimo con le esperienze di scuola nel bosco a cui partecipo (educatori e bambini se ne innamorano).
Che dire di questo nuovo gioiello… Il giardino intricato e selvatico e quello fiorito mi piacciono allo stesso modo. Ma i protagonisti sono i bambini della Hughes, la loro capacità di creare una relazione intensa con la natura, non mediata, spontanea. La natura è complessa, difficile a volte, è proprio questo che li mette alla prova e li fa crescere. L’immagine della bambina più grande che ritrova questo contatto e viene toccata nel profondo, regalando il proprio tempo e dandosi da fare, è una poesia che mi commuove e mi dà speranza.
Grazie Maria cara, non vedo l’ora di averlo tra le mani!

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