Le promesse custodiscono in sé qualcosa che c’è, ma non ancora. Ciò che è passato non c’è più, eppure lascia tracce di quello era: è ancora. In questo incrocio di passato e presente, in questo stato sospeso tra il prima, l’ora e il sarà si situa il terzo libro “da parati” di Lorenzo Naia e di Roberta Rossetti dal titolo È ancora.

Su cosa si basa la certezza che ciò che è stato promesso avverrà? Chi ci assicura che la promessa davvero sarà realizzata? La memoria, o meglio la fiducia che affidiamo a chi fa la promessa. È al seme che piantiamo e non vediamo più che affidiamo la speranza del fiore, è alla memoria del momento in cui avevamo il seme tra le mani che affidiamo la fiducia del suo sbocciare.

Lorenzo Naia percorrere spesso questo spazio sospeso, lo ha fatto con Il giorno prima e poi con Ora qui, e tutti i suoi libri ci hanno raccontato dell’attesa, di quel momento in cui non si vede niente e tutto sta per accadere, un momento spaesante eppure prezioso, che ci mette alle strette e ci costringe a ridirci a chi affidiamo la nostra fiducia. 

Prima, ora, ancora.

Tre avverbi che idealmente concludono una trilogia che, sebbene sembri raccontare di passato, presente, futuro, è in realtà uno sguardo sempre diverso sul valore dell’attimo presente.

In quest’ultimo libro-manifesto Lorenzo Naia ci racconta come ogni spazio, ogni luogo, ogni creatura custodisca ciò che è già stato come una promessa di bene che segna indelebilmente il presente, ma anche il futuro:

«Nel frutto maturo, che racconta il suo viaggio a una radice. […] Nella corteccia e nei germogli, che si conoscono e non lo sanno. Il seme è ancora»

Noi non lo vediamo più, ma è ancora. Nulla di quello che vediamo ora ci sarebbe senza la traccia, il germogliare, il donarsi, il sacrificarsi di ciò che c’era prima. 

È la vita.

Rimangono tracce di quello che è stato e di ciò che deve venire: il momento presente le custodisce come una promessa.

«Nelle stelle, che custodiscono i segreti. Nel buio, che riesce a dire, in silenzio. Nel cielo, che si lascia andare a un canto, una nenia. Il giorno è ancora»

I cinque momenti scanditi dall’apertura progressiva del grande foglio ci guidano al momento finale, dove un volto, in inverno, reclama e ribadisce che nonostante il vuoto, nonostante forse l’aridità apparente, è ancora vita.

Credo che Roberta Rossetti con le sue illustrazioni naturali riesca a non trasformare le parole in retorica e credo che Lorenzo Naia sia capace di sintetizzare impressioni ed emozioni in modo semplice e schietto.

Certamente è stato lui a darmi la chiave di lettura di un altro albo che accosto a questo e che sono riuscita a comprendere, nel suo valore, proprio grazie al titolo di Lorenzo È ancora.

Voglio il sole di Alberto Benevelli e Cristina Pieropan è un libro che colpisce immediatamente per le bellissime illustrazioni e che richiamano gli antichi erbari e le illustrazioni tassonomiche ottocentesche attraverso cui l’illustratrice dà vita a una storia di mancanza e nostalgia.

Una compagnia di quattro amici si muove tra le tavole ricavate grazie all‘acquaforte, tra tarassaco e alchimilla, tra barbabietole e malva in tavole riquadrate.

«Il sole. Il sole allegro dell’estate aveva scaldato lo stagno. Il sole. Il sole giallo dell’estate aveva scaldato Anatra, Rana, Toporagno e Pesce. Il sole. Il sole alto dell’estate li aveva scaldati nei giochi, nel sonno, nei sogni. Il sole. Il sole grande dell’estate aveva cantato per loro»

Le acqueforti acquarellate testimoniano una flora rigogliosa fatta di malva, girasoli, papaveri (tutti nominati attraverso i nomi scientifici: Malva Hortensis, Helianthus Annus, Papaver Somniferum), ma anche tramite giochi di luce efficaci, che illuminano la pagina con vigore (guardate le ombre!).

Ma poi la canzone del vento finì. «Arrivò il vento». Cambia la stagione.

Gli animali sono smarriti, tristi, desolati… nonostante lo sfondo tassonomico attorno a loro doni colori di rara bellezza come il ciclamino carico delle barbabietole autunnali o l’arancione caldo delle zucche e nonostante crescano i meravigliosi frutti stellati del Carex Grayi e i cieli si tingano di rosa e arancio nei tramonti precoci.

Gli animali sono profondamente addolorati, perché il sole non c’è più. 

«“Se il sole va via noi andremo con lui. Presto partiamo!” disse Anatra»

Il mondo sembra finito. È lo sguardo dei bambini - che coincide con quello dei protagonisti - a cogliere questa irrimediabilità, questo dramma: se qualcosa non c’è ora, non ci sarà mai, non ci sarà più.

È invece l’adulto, con la consapevolezza del valore del tempo e del cambiamento, che può in questa assolutizzazione bambina inserire il seme della speranza: è ancora, appunto.

Nella storia di Alberto Benevelli questa è la scoperta che Anatra fa sulla sua pelle, seguendo la scia di calore lasciata dietro di sé dal sole stesso: 

«Anatra vide il sole lontano, sul bosco. Aprì le ali e volò verso il bosco.“Bosco, io voglio il sole! Lo voglio per le mie piume. Dov’è andato?“ “È andato via, più in là. Ma mi ha regalato i suoi raggi caldi e ora io li porto alle mie piccole foglie” “Ohhh, alle piccole foglie” fece Anatra»

Il viaggio che compie Anatra è un viaggio che testimonia una traccia dopo l’altra, la memoria del passaggio del sole e della sua promessa.

Lo racconta il mare che ha custodito il calore del sole per i suoi pesciolini, lo racconta il campo che ha custodito il calore del sole per i suoi fili d’erba.

Non c’è ora, ma c’è ancora.

Sarà il sole in persona a raccontarlo ad Anatra, riscaldandole il cuore, e sarà proprio il cuoricino dell’anatra ad essere segno per gli amici disperati di una promessa che rimane anche nell’inverno, anche se non si vede.

L’albo è impreziosito dalle illustrazioni naturalistiche di Cristina Pieropan che creano un piccolo erbario antico colorato, intrecciato alla storia.

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