L’anima smarrita è un libro che reputo necessario e un libro tra i più belli che abbia nella mia libreria.

Un tempo le fiabe raccontavano di intrepidi o forse sconsiderati personaggi che vendevano la propria anima: il peso di quella scintilla d’infinito sembrava poter essere barattato con soldi, denaro, benessere… quello che però era dato per scontato era che ognuno possedesse un’anima. La modernità invece ha portato con sé una dimenticanza, una dimenticanza della propria dimensione spirituale, della propria anima, appunto.

«Se qualcuno fosse in grado di guardarci dall’alto, vedrebbe che il mondo è pieno di persone che corrono in fretta e furia, sudate e stanche morte, nonché delle loro anime in ritardo, smarrite…».

L’anima smarrita si apre con pagine silenziose, schizzi che sembrano rubati, d’inverno, dalla finestra di un palazzo e questa frase. Il frontespizio seguirà dopo, molto dopo come se una vicenda diversa costituisse il prologo necessario.

«Una volta c’era un uomo che lavorava molto sodo e molto in fretta…». Il ritmo cambia bruscamente e le tavole illustrate pesanti per la neve e mute lasciano spazio ad una pagina a quadretti fittamente scritta, dal tono sostenuto e dall’ambientazione primonovecentesca. L’aria che si respira ricorda Kafka e Pirandello: un’esistenza che non è acerbamente dolorosa, ma è completamente priva di gusto e quindi sottilmente e forse più profondamente angosciante.

«Una volta, durante uno dei suoi tanti viaggi, in una stanza d’albergo, quell’uomo si svegliò nel cuore della notte e si sentì soffocare. […] aveva anche dimenticato il suo nome».

La perdita del nome della propria identità coincide con l’incapacità di dare un nome alle cose e a se stesso e il protagonista, forse il moderno bevitore di caffè (che echeggia la celebre Bevitrice di assenzio di Picasso) che intravediamo nella tavola accanto, si dirige dal dottore, la diagnosi è chiara: il paziente ha perduto la sua anima.

La cura è unica, ma non offre risultati certi: «Lei deve trovarsi un posto tutto suo, sedersi tranquillo e aspettare la sua anima».

Il testo, denso, segue i tempi piani delle narrazioni romanzesche, ma si conclude nel fitto orizzonte di una sola pagina: la voce muore quasi in gola nel panico di chi non ha niente, senza neanche la speranza che qualcosa cambi.

«Così fece dunque quell’uomo chiamato Jan. Si trovò una piccola casetta ai margini della città e là ogni giorno sedeva in poltrona e aspettava. Non faceva altro».

Da qui in avanti, la parola tace e il lettore è immerso in una galleria di disegni a matita pieni, pienissimi di tratti e di movimenti che riempiono le pagine: alberi, case, prati, porte… Il lettore viene assorbito dalla narrazione, il suo occhio diventa quello di Jan: il turbine di emozioni, ansie, paure è lo stesso che deve aver colpito il protagonista.

Joanna Concejo crea tavole di una bellezza angosciante: i giochi con la luce rendono immobili, immoti e solitari scorci naturali e interni, figure sconosciute e senza volto le attraversano e la veridicità con cui sono ritratti non può neanche dare il sollievo di saperli solo immaginati. Il ritmo si fa binario: a destra il tavolo di Jan finimente ritratto e messo a fuoco, a destra la vita più sfocata che sembra scorrere ignara, scheggiata come istantanee casuali della vita di estranei. Casuali? Il volto di un bambino ad un certo punto emerge con nitidezza: l’ho già visto? Si chiede il lettore.

Torna la parola. E appare per la prima volta il colore.

Olga Tokarczuk regala ai lettori una profonda domanda relativa al tempo, all'infanzia, alla vita e, sì, alla propria anima, alla propria dimensione spirituale, a quella dimensione che rende l’uomo estraneo a se stesso, a quella dimensione che consuma l’uomo nell’insoddisfazione… ma nello stesso tempo regala all’uomo volti da guardare, luce, colore. E lo fa con un racconto che, di per sé, non ha nulla di mistico o di astratto.

La struttura del testo e il suo rapporto con le immagini sono pazzeschi per la significatività di ogni elemento. La cornice con il suo tono personale di quaderno di appunti sembra inizialmente contenere la vicenda, salvo poi fondersi con essa, con intimità e armonia. Guardate gli sfondi delle pagine con l’impercettibile variare del colore e della trama (il verde, il calore invecchiato del giallo aranciato, i quadretti…): nulla è casuale. Il tratto fine e grossolano, i colori scuri e poi l’esplosione di verdi… addentrarsi in questa pagine è commovente e smuove l’animo. Non si può dire diversamente.

Un libro intensissimo, capace di turbare. Una lettura che penso molti adulti troveranno necessaria e intensa quanto l’ho trovata io.

L’anima smarrita
Olga Tokarczuk - Joanna Concejo - Raffaella Belletti (traduttrice)

52 pagine
Anno: 2018

Prezzo: 24,00 €
ISBN: 9788833700021

Topipittori editore

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Commenti
21 Ottobre 2019
Maria

Che bella sintesi. Grazie

20 Ottobre 2019
Paola

Una deflagrazione dentro. Intenso e bello.

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