Scaffale Basso e Giuseppe Ferrario
Era un affollato e accaldato pomeriggio della Bologna Children’s Book Fair e Giuseppe Ferrario mi ha accolto con una simpatia travolgente allo stand di Terre di mezzo, allestito con grandi pannelli che anticipavano l’arrivo del suo fumetto Al di là del fiume. Nonostante la condivisa stanchezza, abbiamo riso un sacco e ci siamo raccontati tanti aneddoti personali, perché è difficile parlare di belle storie, senza raccontare un poco di sé. La generosità e la schiettezza con cui mi ha parlato del suo lavoro sono un evidente riflesso di quello che troviamo nelle sue storie. Grazie!
Vi lascio alle sue parole.
Ciao Giuseppe, sono molto felice di incontrarti! Tu ti occupi di testi, illustrazioni, fumetti… Ma come hai iniziato?
Io ho iniziato come illustratore. Ho studiato scenografia all’Accademia di Belle Arti e poi ho iniziato a lavorare come scenografo a Gardaland. Era un lavoro interessante: nel villaggio del Farwest non ci possono essere cestini di ferro… allora io mi inventavo un pozzo, sul galeone dei pirati c’era sempre troppo caldo… allora io mi sono immaginato delle vele stese che facessero da copertura. Le scenografie nascevano così! È stato lì che ho incontrato l’ideatore di Prezzemolo ed è nata l’idea di fare un fumetto: ho creato Mously e poi sono passato a lavorare per Topolino, Geronimo Stilton… e sono entrato nel mondo dell’illustrazione.
Quindi non nasci come fumettista, ci sei arrivato! E la parte autoriale, quella di scrittura delle storie, è nata con il fumetto? Ma poi è andata avanti con le sue gambe…
Sì ho iniziato a scrivere parallelamente ai fumetti. Ho fatto dei fumetti per l’America e ho iniziato a scrivere i reportage per Topolino. Poi, a un certo punto ha iniziato ballarmi in testa quest’idea di un pesce fuor d’acqua e ho pensato di scriverci una storia ed è nato Thoni e i suoi cugini.
Giuseppe Ferrario, Thoni e i suoi cugini, HarperCollins
Io amo molto la serie di Thoni, perché in queste storie emerge che tu ti ricordi molto lucidamente come pensano i bambini, come si muovono nel mondo…
All’inizio, in realtà, con Thoni volevo essere un po’ più distaccato, poi ho capito che invece dovevo tirare fuori tutto quello che ricordavo della mia infanzia. Mi è venuto in mente che odiavo la piscina e mi hanno investito i ricordi di quei momenti nei quali uno si sente inadeguato, si sente proprio un pesce fuori d’acqua. A me è successo che tutti volevano andare a nuotare e io… zero. Allora ho capito che quella poteva essere la chiave di Thoni: rimettermi in quei ricordi di bambino.
Ci sei riuscito in modo eccellente, secondo me, unendo lo sguardo spiritoso, divertente e scanzonato dell’infanzia, ma non hai taciuto tutte le paure, le prove… A me è rimasta nel cuore la dedica a tuo figlio che apre il terzo volume: «“Pippo, qual è il tuo cibo preferito della mensa?” “L’acqua!” Dialogo con Filippo Ferrario, anni 7». È una serie proprio bella, perfetta per i primi lettori.
Ti ringrazio, mi fanno piacere le tue parole. Quando finisco un libro mi chiedo se da bambino lo avrei amato e se mi rispondo di sì, mi dico che in fondo ho fatto un buon lavoro. Secondo me questa deve essere la molla che ci spinge: scrivere storie che piacciano ai bambini.
Con Thoni, però, il fumetto entrava in piccole parentesi illustrate, mentre con l’ultimo tuo lavoro Al di là del fiume, sei tornato ad un linguaggio che non è più ibrido: abbiamo un corposo fumetto! Dove è nata questa storia?
Mi è tornato in mente che quando ero piccolo passavo le giornate a riguardare i libri di Richard Scarry. Era un’idea che avevo da un po’: volevo fare uno di quei libri che i bambini amassero leggere e rileggere. Io tornavo sempre a riguardare tutte le diverse automobili di Felicittà, conoscevo tutte le torte che stavano nella pasticceria… Avevo in mente un libro con delle pagine ampie, dove i lettori potessero perdersi e volevo fosse un fumetto, ma era una scelta particolare, perché di solito i fumetti per bambini non li fanno in questo formato. Per cui avevo un po’ paura.
Giuseppe Ferrario, Al di là del fiume. Il cavaliere doppio, Terredimezzo
Beh l’hai comunque superata, perché lo hai fatto!
Sì! Mi è molto piaciuto fare queste illustrazioni ampie che secondo me sono perfette per i primi lettori che sono aiutati dal “grande”. La cosa che mi ha fatto più piacere è che alcuni che lo hanno già letto mi hanno scritto che vogliono riguardarlo per godersi tutti i dettagli… proprio come succedeva a me con Richard Scarry. Infatti ci ho messo molto tempo a disegnarlo tutto, perché desideravo che ogni dettaglio e oggetto… tutto fosse perfetto e invogliasse a soffermarsi e a ritornare a guardare. L’aspetto più difficile è stato riuscire a far muovere i balloon e le didascalie in modo che il lettore potesse seguire bene la storia all'interno della tavola, perché uno dei rischi era che il bambino si perdesse, ma credo di esserci riuscito!
L’idea della storia che si è intrecciata a questa suggestione visiva, da dove è arrivata?
A un certo punto ero in contatto con uno scrittore russo, perché mi sarebbe piaciuto fare una storia sulle fiabe russe. Poi è scoppiata la guerra tra Russia ed Ucraina. Io ascoltavo le ragioni dell’uno e poi sentivo le persone ucraine parlare e mi dicevo: non è possibile che un uomo della mia età non riesca ancora a capirci niente. Allora di colpo mi è venuta questa idea del doppio: una doppia versione della storia. Chi ha ragione? All’inizio non volevo farlo a fumetti, volevo fare un albo illustrato e volevo farlo a quattro mani, cioè volevo che la seconda versione fosse illustrata da un altro illustratore. Nel confrontarmi con l’editore, però, è emersa l’importanza dell’imparzialità: se ci fossero state due mani diverse, a livello estetico un lettore avrebbe potuto schierarsi da una parte, perché preferiva le illustrazioni… invece dovevo fare tutto io. E questo è stato un bene, perché sentivo questa storia proprio “mia”.
L’ambientazione è arrivata naturalmente?
Sì perché stavo riflettendo sulla Russia e il mondo del Nord un po’ tartaro, un po’ nomade, un po’ mongolo… è arrivato tutto molto spontaneamente, anche se poi in realtà non volevo caratterizzare troppo il luogo e legarlo ad un Paese preciso, così l’ho spostato nel tempo.
È un bellissimo esercizio critico quello che tu offri ai bambini, perché anche dire “ha ragione lui” e basta rischia sempre di essere parziale.
Eh sì. Ho pensato a due personaggi e mi sono immaginato che il lettore leggesse una metà del libro e alla fine parteggiasse per quel protagonista. Poi, però, dopo avere letto l’altra metà del libro… parteggiasse per l’altro! La parte più complessa è stata progettare la storia, perché ogni cosa che avveniva da una parte doveva avvenire anche dall’altra. O meglio, doveva avvenire da entrambe le parti, ma essere interpretata in maniera diversa, opposta. Per me è stato bellissimo ma ugualmente impegnativo: scrivevo cinque pagine da una parte e poi mi spostavo dall’altra...
Quindi sei andato in parallelo dall’inizio alla fine?
Sì, sono andato in parallelo e ti devo dire la verità: è stato molto impegnativo, perché io non sempre parto, sapendo dove vado a finire, ma per costruire un libro così, con una certa foliazione, un parallelismo costante… beh bisognava essere molto rigorosi e io non lo sono mai stato. Ma per un miracolo tutto ha funzionato!
Giuseppe Ferrario, Al di là del fiume. Il cavaliere doppio, Terredimezzo
Ha funzionato alla grande, anche perché all’interno di un tema grande come il conflitto tu hai saputo mantenere un umorismo e uno sguardo tipicamente bambino. Secondo me questa è una tua forza, perché anche di fronte alla guerra tu fai muovere i personaggi come si muoverebbero dei bambini, in un moltiplicarsi di scene…
È vero. Io non sopporto l’umorismo costruito per i bambini. C’è un’idea secondo me molto deformata di che cosa fa ridere un bambino e questo diventa caricaturale: se non mi diverto io mentre scrivo, si vede e i bambini non si divertiranno. Ad esempio ho amato molto la scena in cui Olmo e Falissa vengono incatenati insieme: sembrano nemici e devono stare attaccati, devono fare i conti i difetti e gli sbagli propri e dell’altro e devono riuscire a conviverci, anzi devono riuscire a trasformarli in un elemento di forza. E questo i ragazzi sono capaci di farlo… e la situazione fa ridere da matti!