Ascoltavo in questi giorni un podcast letterario dedicato alla presenza degli animali nella letteratura. Gli interlocutori, persone colte e spigliate, perfettamente a loro agio nel raccontare e nel citare autori, filosofi, critici pensatori che affrontavano il tema, passati ad affrontare l’ambito letterario infantile, impercettibilmente ma in modo sempre più netto hanno lasciato una riflessione legata a studi e commenti critici per affidarsi al proprio parere personale, all’interpretazione basata sulle proprie esperienze e sui loro ricordi.
Parlare di Bambi, del Bianconiglio o dei molti personaggi antropomorfi è diventata un’occasione per riflettere su elementi emotivi, sul bisogno dei bambini di avere una guida animale (?), sulla semplificazione necessaria (bravissimo Disney!, secondo loro) perché il bambino potesse poi arrivare a comprendere la vera letteratura… persino i personaggi come il grillo parlante venivano raccontati, attraverso la rielaborazione cinematografica, rendendo tutto il discorso pretestuoso e molto distante dalla realtà letteraria dei testi citati.
Come è possibile che quando si affrontano argomenti relativi alla letteratura per l’infanzia, la necessità di un apparato critico scompaia? Come è possibile che risulti ancora più affascinante filtrare i significati di un romanzo per bambini attraverso la propria esperienza, come unica e inappellabile possibilità di giudizio?
Sbaraglia in modo schietto, diretto e netto questa posizione approssimativa La fabbrica di Pinocchio di Veronica Bonanni studiosa di Letterature comparate che dedica un intero volume alla ricognizione e alla documentazione del mare intertestuale che precedette e che confluì nel grande capolavoro collodiano.
Siamo di fronte a un testo scientifico ampio e complesso, che ha una struttura argomentativa solida, dove i dati, i riferimenti bibliografici, i confronti e le ipotesi relate alle fonti sono documentate e spiegate con dovizia.
La Bonanni non si esime dall’affrontare anche apertamente la questione di interpretazioni parziali che sono state date al romanzo proprio, evidenziando come spesso queste siano letture che risalgono agli archetipi profondi, senza un desiderio di documentazione critica. Azione lecita, ma che però mette al centro i “temi” e il pensiero del commentatore in una espressione di sé, più che il testo in tutta la sua bellezza e forza.
La fabbrica di Pinocchio potrebbe immaginarsi dedicato solo agli addetti ai lavori, ma, a mio avviso, può essere un interessante punto di vista per chiunque si occupi di letteratura, perché offre ai lettori uno scorcio di quale sia la qualità di pensiero e scrittura e la trama fitta dei riferimenti, elementi che, intrecciati, poi creano i grandi capolavori della letteratura per l’infanzia, che nulla hanno da invidiare ai grandi capolavori della letteratura (e basta).
Da dove nasce la figura di Pinocchio? Quali riferimenti iconografici? Qual è l’idea di infanzia che viene narrata e di cui è portatore questo personaggio? Che significato profondo hanno Mastro Ciliegia e Geppetto? Da che cosa è caratterizzata la Fata Turchina? A quali personaggi precedenti fa riferimento? Quale approccio sceglie nei confronti di Pinocchio? Il grillo parlante è effettivamente un personaggio positivo? Il gatto e la volpe a quali cattivi sono ispirati?
A queste e a moltissime altre domande la studiosa dà risposta attraverso un discorso denso ma chiaramente documentato e discorsivo e anche grazie a un apparato iconografico, che rende evidente molti collegamenti con fonti ed edizioni particolari e antiche.
A partire dal rapporto strettissimo con I racconti delle fate - fonte diretta di cui Collodi curò la traduzione nel 1876 -, il saggio affronta la ricognizioni delle fonti dei personaggi, l’incipit, gli snodi narrativi e la conclusione, ricreando sotto gli occhi dei lettori un universo variegato di testi che vanno da Le metamorfosi di Ovidio all’Eneide, dalla Divina Commedia a La bella e la bestia, dalle fiabe di Perrault a quelle di Madame D’Aulnoy… per poi toccare le illustrazioni di Gustave Doré e Bertall.
Essere coscienti dell’erudizione dei testi citati è parte fondamentale della comprensione del romanzo, per poter cogliere uno dei meccanismi fondamentali messo in atto da Collodi:
«L'abbassamento parodico si configura così come uno dei meccanismi principali della comicità collodiana, che può essere fruita pienamente solo se si riescono a cogliere i numerosi riferimenti intertestuali»
Accanto alle fonti, la Bonanni ricostruisce la struttura del romanzo nei suoi due movimenti (Storia di un burattino e Le avventure di Pinocchio), evidenziando le fratture e le ricuciture che l’ampliamento del progetto iniziale - il romanzo doveva concludersi al capitolo 15°! - portò con sé in termini di rinegoziazione del protagonista e di nuovi significati e legami intertestuali (dalla fiaba al romanzo di formazione). Molto è dedicato al finale, emotivamente letto (anche nel podcast che ascoltavo) come la conquista agognata del diventare “un bambino vero” e che invece in Collodi corrisponde ad una morte, per nulla agognata, ma accettata.
«Ben lontano, dunque, dall’essere scritto a caso o in mancanza di meglio, il finale di Pinocchio si rivela un testo complesso e sottile, curato in ogni dettaglio, che sottintende una rielaborazione originale dei suoi intertesti e una riflessione finemente condotta, secondo la logica dell’infanzia, sulla costruzione dell’identità, sulla presa di coscienza di sé»
Nello stesso tempo non mancano riferimenti fondanti alla scrittura di Collodi, che fu capace di mettere la sua penna umoristica e giornalistica a servizio dei ragazzi, immaginando un lettore originale e certamente lontano dalle idee paludate che allora gli adulti avevano delle giovani generazioni. La lingua collodiana, pur nell’irregimentata concezione letteraria infantile ottocentesca, crea un mix ineguagliabile di ironia rivoluzionaria come solo i classici hanno saputo fare.
Un saggio da leggere che restituisce la dignità letteraria ad un classico impareggiabile della letteratura per bambini, dignità sulla quale non bisognerebbe discutere, ma che ancora oggi invece si deve difendere.