In questi giorni nelle mille pagine del web che percorro alla velocità della luce ho dovuto fermarmi: sono stata interpellata. “Quali sono i tuoi sogni nel cassetto?” mi ha chiesto Il Mezzo Mondo di Uescivà.

Ho dovuto fermarmi, rifletterci, lasciare sedimentare il pensiero e poi Beatrice, novella donna salvifica (Dante docet!), è venuta a trovarmi e tutto si è chiarito.

Io la mia vita me la sono immaginata in mille modi, avrei voluto fare mille cose, essere mille persone, ma soprattutto ho sempre creduto che la buona volontà, l’impegno, la dedizione, la fatica, lo studium avrebbero potuto portarmi dovunque. Ma quando le lacrime non sono bastate, quando il tempo, la fatica, lo sforzo continuo e costante, l’impegno prolungato non sono valsi? Dopo che hai gridato, dato fuoco alle fiamme, sputato sangue, cosa vale? Dove finisce quel sogno?

Beatrice ha scritto I cinque malfatti. «Erano cinque. Cinque cosi malfatti» uno peggio dell’altro: non ce n’era uno normale, non ce n’era uno con una qualità. Erano dei poveretti, strampalati e fondamentalmente inutili. Non erano giusti e le cose non andavano bene per loro: la signorina piegata si arricciava con la pioggia, il molle non riusciva neanche a fare una passeggiata, il quinto poi non lo si poteva neanche guardare senza averne compassione e infatti lo guardavano tutti un po’ così, quando lo guardavano. Facevano pietà eppure «questo li divertiva molto». Vivevano in una casa con molti cassetti, luminosa e sbilenca, sì, ma perché orientata verso il sole. Vivevano in una casa con una tazza di tè fumante sempre pronta, con piante libere di chiacchierare con i calzini spaiati e cappe di latta, una casa dove anche i topini e i ragni erano i benvenuti, i chiodi, le biglie, i pennarelli, le paperelle, i legnetti e le ciliegie erano a casa loro, una casa dove nessuno era lasciato fuori, neanche il perfetto. Loro erano quelli sbagliati: chi erano per non accogliere qualcuno? Chi erano per chiudere la porta in faccia a qualcuno? E il perfetto arriva, con il suo passo deciso, le sue calze perfette e la sua chioma fluente: non è come ce lo si aspetta, ma se ne riconosce una autocelebrata straordinarietà. E il perfetto non può che mettersi all’opera per sopperire, aiutare, coadiuvare, elevare, valorizzare quei piccoli insulsi poveretti. Serve una cornice, «un progetto, una soluzione, un’idea!». Probabilmente in fondo, mooolto in fondo, anche loro avevano qualcosa di buono: forse al quinto basterebbe un abbonamento in palestra, e magari al molle un bustino correttivo e qualche vitamina… mumble mumble… Ma i nostri poveretti non hanno niente da difendere, perché non hanno niente.

Forse allora qui c’è un problema, perché con nulla non si costruisce niente.

«Sarà» ma quando il malfatto bucato si arrabbia piange e la rabbia come cactus fumoso e spinoso passa attraverso i suoi buchi. E tra le pieghe, gli arricciamenti e la polvere il piegato ha conservato tesori luminosi: basta avere l’attenzione di vedere. E il molle è così poco rancoroso che può addormentarsi quieto e inconsapevole in qualsiasi situazione. E il capovolto vede «cose che gli altri non vedono». E lo sbagliato è capace di far festa. Sciocchezze. Chi mai godrebbe di gocce di pittura rossa, ragnatele geometriche e foto ingiallite? I cinque malfatti erano «più contenti che mai», mentre il «perfetto restò lì, solo, a bocca aperta. Come un vero, perfetto stupido».

Perché?

Perché i cinque malfatti non hanno paura di niente. Non hanno paura di niente perché non hanno niente. I loro piccoli cuori non cercano altro che essere loro stessi, amando le pieghe, le gobbe, i buchi, il nero… piangendo, magari, ma non volendo essere da nessuna altra parte che lì. Esattamente nel posto in cui sono. Esattamente come sono.

Perché, in fondo, quando i sogni si realizzano e i vestiti sono esattamente del fucsia che volevi, sei davvero contento? Forse per un po’, ma poi inevitabilmente non lo sei più. Perché se non ami il tuo piede, il tuo gomito, il tuo ginocchio non amerai i tuoi calzoni e non sarai felice perché vorrai sempre essere da un’altra parte. I malfatti sono felici perché amano ciò che c’è e ciò che sono.

Ecco, quando le lacrime e il sale bruciano bisogna tenere fissi i propri occhi, lì dov’è la vera gioia. Lì dove c’è qualcosa.

Beatrice ci regala davvero un capolavoro di particolari, di storie e piani di lettura. Una continua e costante possibilità di leggere una storia diversa, con la disarmante capacità di parlare a tutti: dalla complicata me al mio quattrenne che ha amato questa favola come ha amato pochi altri libri di Beatrice. Personaggi indimenticabili: profondi e piatti, scontati e inaspettati. L’imperfezione e l’irregolarità dei disegni hanno, come sempre ma forse qui di più, la capacità di significare qualcosa per il loro stesso essere così. Trame preziose e nascoste, particolari già visti eppure nuovi. Colori accesi e grigi, pennarelli e matite. Un testo che si impone e che scompare, che descrive e che non dice. C’è tutto.

Io ho preparato le valigie, vado a mettere i miei sogni nella cassettiera viola marmorizzata della sala. Ci porto anche Saverio, il marito e il cane e mi ci trasferisco. Magari la Bea passa a trovarci: devo farmi dedicare mille libri!

P.S. ho scritto questo post prima di sapere dell’iniziativa #WDSD2014, tuttavia penso che esprima bene il mio pensiero in merito: siamo tutti feriti e  in fondo tutti uguali, basta solo non fare i «perfetti stupidi». Abbattiamo i muri.

I cinque malfatti
40 pagine
Anno: 2014

Prezzo: 20,00 €
ISBN: 9788898523061

Topipittori editore

Anobii

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Commenti
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25 Novembre 2015
Maria

È un lavoro continuo (forse ce lo siamo già dette!) e io mi sento così malfatta… e questo è davvero un comfort-book 😉

25 Novembre 2015
Suster

Scusa gli orrori di consecutio!!!!

25 Novembre 2015
Suster

Ti ho conosciuta attraverso questa recensione e, non so se per questo o per altro, rileggerla ora mi ha colpita. Le tue parole sono balsamo per l’animo. Mi piace come riesci ad appropriarti in modo originale e personalissimo dei testi che presenti e di come sai leggervi dentro significati per niente scontati.
Cercherò di tenere presente questo messaggio, e di tenere gli occhi fissi su ciò che c’è, e di amare le sue imperfezioni,e di non lasciarmi abbagliare dalle presunta perfezione altrui, se mai esitono…

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