La ragazza pesce è un racconto illustrato di Søren Jessen, pluripremiato autore e illustratore danese, che mi ha avvinto in una lettura febbrile, pagina dopo pagina. La copertina e il titolo sono molto suggestivi e catapultano il lettore sull’orlo di un precipizio o meglio sulla bocca dell’abisso. 

Jessen gestisce con perfezione l’equilibrio tra illustrazioni e testo: il testo si ritaglia degli spazi (minoritari) di impaginato tradizionale, ma le pagine sono quasi tutte completamente illustrate e in molti casi il testo si inserisce tra i disegni, armonizzandosi con le illustrazioni che non esitano, come fossero marosi, a prendere il sopravvento sul racconto, anche grazie a doppie pagine che si aprono inaspettatamente. Il racconto è perfetto e godibile anche senza illustrazioni, ma la progettazione illustrata, nel suo tessere un secondo racconto apparentemente indipendente, arricchisce questa storia, donandole una profondità e un’angoscia imparagonabile.

Il lettore è catapultato in medias res in una situazione che potrebbe essere distopica e che, certamente, è catastrofica. Intuiamo che ci sono due bambini, la protagonista che parla e suo fratello, in una casa. 

«Stiamo tanto bene. Io e Frede. Abbiamo succo di frutta e biscotti fatti dalla mamma»

Il quadro apparentemente rassicurante si scontra con le immagini cupe di un mare in tempesta, di una notte che più nera non si può, dentro la quale il rassicurante quadro di affetto e biscotti sembra sul punto di essere sommerso. Le onde, il vento, l’abisso sembrano, nella loro violenza, voler inglobare tutto, tanto che quasi immaginiamo che i bambini possano essere già annegati.

Le immagini offrono un attimo tregua e mostrano , invece, un contesto quotidiano, in cui presumibilmente si sta svolgendo l’azione: un tavolo disordinato, in una casa. 

Ma la scrittura non dà tregua e incomincia vorticosa a trascinarci verso il fondo. Intuiamo progressivamente che i bambini sono soli, i genitori se ne sono andati e non sono tornati a prenderli. Frede è un bambino autistico che ha bisogni particolari e fobie e sicuramente una fissazione per i dinosauri. Intorno a questi bambini si sta scatenando l’inferno. Sono soli in una casa isolata su di un’isola che, con sempre maggior violenza, viene inghiottita dal mare che non accenna a ritirarsi. Le illustrazioni di Jessen ci mostrano già un mondo sommerso abitato da pesci che sembrano usciti dal periodo cambriano (ricordate Ponyo?).

Si ha l’impressione di essere risucchiati in un vortice che si fa sempre più asfissiante: i ragazzi sembrano avere ancora da mangiare, ma la paura che stringe il petto della protagonista toglie l’aria. L’idea di dover portare via suo fratello che ha paura del mare, la responsabilità di doversi occupare di lui e di governare il gommone. Da sola. La reale possibilità di riuscire ad attraversare una tempesta di quella portata, l’assenza opprimente e senza ragione dei genitori…

In questo gorgo inarrestabile, il pacato ma pretenzioso mondo di Frede sembra far slittare il tempo futuro, in cui sembra collocata la vicenda, nel lontano passato, quando gli eventi atmosferici e le catastrofi avevano una portata equiparabile solo alla grandezza dei rettili che abitavano alla Terra .

Le giornate sembrano ripetersi scandite da una routine che èsolo apparentemente normale: mangiare, guardare fuori, giocare, guardare fuori, lavarsi, guardare fuori, andare a letto, guardare fuori. In questo tran tran le voci assordanti che si assiepano nella mente della protagonista urlano il loro terrore:

«Ma perché la mamma e il papà non sono venuti a prenderci? Perché ci mettono tanto? Non riesco a non pensarci. Tutto il tempo. Cosa gli è successo? Dove sono.

[…]

Arrivano le lacrime. Succede ogni sera, dopo che Frede si è addormentato. Ma io non posso cedere. Io sono la figlia grande»

La casa sulla collina, così come la protagonista, deve resistere alle bordate che la tormenta riversa insensibile sui ragazzi e nei loro sogni: incubi di pesci abissali, annegamenti, tartarughe, sirene.

Cosa fare? Cosa fare? Cosa fare? Il vento decide di portare via l’unico piano praticabile: il gommone. Ma la speranza è più resistente persino di una casa ormai sfiancata dalla tempesta. Basta un’intuizione, un attimo: la protagonista riesce ad attivare il generatore di emergenza ed ecco che nel buio più profondo e nero, il buio ineluttabile della morte, il «Bru Bru Bru» del motore del generatore si confonde con quello di un elicottero che si allontana, ma che all’ultimo vira verso quell’unico bagliore tenue ma inscalfibile che grida nella notte.

La scrittura di Jessen avviluppa, angoscia, trascina dentro la precarietà, la fragilità, la paura dei ragazzi. Il testo è opprimente e si legge d’un fiato, risucchiati in un climax di angoscia. Il dialogo con le illustrazioni serve a ritmare la lettura: le parole vengono sussurrate o pronunciate a ritmi diversi, seguendo il tono delle linee del disegno. Le illustrazioni non sono mai descrittive, ma sembrano raccontare una storia indipendente: la storia del gorgoglìo interiore, delle angosce della protagonista che è come se occupassero l’intero orizzonte del suo sguardo, pur non rappresentando ciò che effettivamente i suoi occhi vedono. 

Un racconto breve bello, da togliere il fiato.

La ragazza pesce Søren Jessen - Eva Valvo (traduzione) 116 pagine Anno 2025 Prezzo 19,90€ ISBN 9791254641965 Editore Camelozampa
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