Ci sono luoghi che i bambini conoscono dove vanno a finire tutte le cose che perdiamo. Sono luoghi che incutono una profonda paura, luoghi capaci di aprire voragini spazio-temporali, luoghi bui, irraggiungibili e difesi.
Io conoscevo un luogo così: era la fessura che si trovava sotto l’imponente armadio di camera mia. Un luogo inquietante e oscuro capace di inghiottire cose - che se magari non erano tra le mie preferite lo diventavano quando scomparivano - senza più restituirle: la mia saponetta verde, il mio disco di Mi scappa la pipì, la mia carta dell’arancia dorata con i bordi verdi…
E se ci fosse un luogo dove recuperare questi oggetti smarriti?
Lukas Hartmann con Tutte le cose perdute, ci conduce a scoprirlo.
Il piccolo Carl, è un bambino che perde tutto, o meglio a cui spariscono moltissime cose, ma il suo migliore amico, il pupazzo Kasper, in sogno scopre che esiste un varco per accedere al luogo dove tutte le cose scomparse si radunano.
Il passaggio che vi conduce si apre solo di notte, in un parco che - naturalmente - è chiuso al pubblico, un luogo, dunque, pericoloso, inaccessibile e difficile da raggiungere. Il piccolo protagonista sta per rinunciare all’impresa, quando a sparire è niente po’ po’ di meno che il suo Kasper.
A questo punto non c’è alternativa: Carl deve pianificare un piano per riuscire a ricongiungersi al suo più grande amico.
La scrittura di Hartmann è interessante nel mostrare i due piani di dialogo, corrispondenti a due precise e divergenti visioni del mondo: ci sono gli adulti ottusi che riconducono le sparizioni alla sbadataggine o a un valore economico e che addirittura concepiscono la possibilità di sostituire Kasper con un pupazzo identico (!?), e poi c’è Carl il bambino che intuisce il valore misterioso e misterico di queste sparizioni.
Il dolore di Carl trova nell’inaspettato regalo di Timo - un cucciolo di cane che nell’idea dei genitori dovrebbe sostituire affettivamente la sparizione di Kasper - la spinta giusta per dare vita al suo piano di salvataggio, nel buio della notte verso il paese degli oggetti perduti.
Carl fugge, accompagnato solo da Timo, e la narrazione ci aspira nel terrore del buio e dell’ignoto. Ad attenderlo al parco, però, c’è una prima magica figura liminare, il guardiano Runar, che provvidenzialmente apre le porte del cancello, permettendo a Carl di partire per la sua avventura.
«“Ci sarò io” disse Runar. “Non importa quando e dove. E ricorda, Carl: qui di notte trovi molte cose che di giorno non si vedono”»
Il parco cittadino si trasforma velocemente in una foresta da attraversare e gli incontri non sono finiti.
«La donna aveva i capelli color argento, persino il suo viso sembrava argenteo alla luce della luna. “Cosa cercate, qui nella foresta proibita?” chiese»
Ogni come in ogni fiaba che si rispetti, questo spirito dà un oggetto magico al protagonista: un gomitolo-bussola capace di indicare la strada quando la si sia persa.
L’incontro successivo (il terzo non a caso!) è con un vero e proprio psicopompo: un maggiolino VW con le gomme a terra di nome Sciò. È lui che condurrà Timo e Carl giù, giù fino al cuore profondo e infero dove abitano gli oggetti perduti, dimenticati o abbandonati.
«“Cosa cercate qui? Chi vi manda? Non vogliamo intrusi oggi. Sta per cominciare la nostra festa della luna piena, perciò gli ospiti non sono graditi”»
Quello che ci si para davanti agli occhi del bambino e del suo cane è la preparazione di un vero e proprio rito misterico: i falò bruciano ambigui nella notte e intorno ad essi gruppi di creature differenti danzano.
«Al primo c’erano ombrelli e bastoni. La maggior parte degli ombrelli erano chiusi ma alcuni, soprattutto i più grandi, saltellavano aperti su e giù, oppure si chiudevano e si riaprivano, balzavano in aria per poi planare verso terra come se fossero paracaduti. […] Attorno al falò successivo c’era un mucchio di maglioni di tutte le misure che muovevano le maniche come se volessero afferrare Carl»
Se scendere è stato facile, risalire al mondo non lo sarà altrettanto, perché come ogni luogo aldilà del conscio richiede un prezzo, richiede di lasciare qualcosa di sé.
«“Per ogni cosa che prendi, devi lasciarmene qui un’altra”»
Ogni maglietta, guanto, cappellino perduto, ritrovato tra i fuochi e riscattato pretenderà che Carl rinunci a qualcosa che aveva portato con sé: una mela, un cerotto, la torcia…
Il viaggio è minaccioso, cupo, perturbante e sorprendentemente l’incontro con Kasper è tutt’altro che pacificante!
«“Adesso lasciami”, gli disse Kasper “voglio rimanere con i miei compagni. Voglio partecipare alla prossima festa della luna piena, ho deciso. Lasciami, non sono tuo prigioniero. Mi piace di più stare qui che a casa tua”»
Perduto, abbandonato, lasciato: qual è la differenza? Carl forza la mano ai custodi, a Kasper e a se stesso, ma il costo richiesto è drammatico:
«“Il tuo Kasper per te vivo”, disse il manichino. “E questo significa che in cambio devi lasciare qualcosa di vivo”»
Chi lascerà, Carl? Potrà abbandonare Timo?
Lotta e fuga si intrecciano, anche interiormente, e gli oggetti mostrano quel lato inquietante, il buio istintivo e primitivo del gioco stesso. Risalire verso la luce è una corsa.
Giunti in superficie un ricongiungimento provvidenziale porrà ai lettori una domanda muta e drammatica: Carlos ha perso tutto? Ha recuperato qualcosa?
Forse non ha perso ciò che è più importante.
La scrittura dell’autore svizzero è incalzante e suggestiva, vorticosa e orrorifica, a tratti, le immagini e i dialoghi sono posati tra le righe con parole precise e accompagnano i lettori in questo viaggio misterico dalle suggestioni fiabesche, ma non solo. I riferimenti intertestuali sono infatti potenti e ricchi: dai ritrovi notturni di Mary Poppins, agli tane dei Bambini Sperduti dell’Isola che non c’è, ai traghettatori infernali…
Le illustrazioni di Tatjana Hauptmann - che non ha caso ha illustrato magnificamente Peter Pan - sono uno specchio inquietante e rassicurante del doppio sapore della storia.
Un buon romanzo per la lettura condivisa, dai 6 anni, e autonoma, dagli 8 anni.