Le isole hanno sempre rappresentato qualcosa di particolare nell’immaginario di Tove Jansson, qualcosa che certo si intreccia a una simbologia che appartiene in generale al pensiero occidentale che nell’isola vede un luogo-ponte, ambiguo, tra il mare e la terra e tra la vita e la morte, ma che nell’esperienza specifica delle culture del Nord si trasforma anche in qualcosa di familiare, poiché è prassi comune trasferirsi su isole remote per trascorrere felicemente i pochi mesi estivi inondati dalla luce.
Proprio recentemente Laura Pezzino ha intessuto una piacevole breve biografia sull’autrice finlandese (Lavorare e amare. Amare e lavorare) evidenziando un parallelo tra le isole abitate dalla Jansson e lo scorrere della sua vita. Ugualmente Lauren Soloy, in un anno come questo dedicato ai festeggiamenti per gli ottant’anni dei Mumin, scrive per Tundra una storia sull’infanzia della Jansson dal titolo Tove and the island with no address.
L’autrice e illustratrice canadese condensa in queste pagine, in una breve avventura, i grandi accenti che definiscono la poetica di questa artista. Sebbene infatti la storia sia molto semplice, apparentemente anche poco significativa a livello narrativo (si racconta di una giornata che Tove trascorre a zonzo sull’isola che abita d’estate e l’arrivo di un temporale), le illustrazioni suggeriscono tanti altri dettagli che effettivamente poi si ritrovano nell’immaginario e nelle storie della Jansson.
«The summer Tove turned seven, her family, as they did every summer, packed a boat with only what was essential and moved to an island with no address.»
[L’estate in cui Tove compì sette anni, la sua famiglia, come ogni estate, preparò una barca con solo lo stretto necessario e si trasferì su un’isola senza indirizzo]
Le pagine che seguono sono molto differenti dall’immaginario delle estati assolate e abbacinanti del Nord: la Soloy, infatti, con il suo stile pittorico, riempie le pagine di grigi, marroni e neri quasi a suggerire un elemento perturbante che incombe sull’esperienza dell’isola.
La Pezzino, cita un brano della stessa Tove dedicato alla vita sulle isole:
«Quando sei stato solo per molto tempo, inizi ad ascoltare in modo diverso, a sentire l'organico e l'inaspettato in te e a vedere la bellezza incomprensibile del mondo materiale in tutto. I vecchi pensieri trincerati saltano in nuove direzioni, o si restringono e muoiono. I sogni diventano più semplici e ti svegli sorridendo. È una struttura fragile. Lo paghi con la paura del buio e il panico improvviso: un fruscio nell'oscurità, una barca all’orizzonte. Ma allo stesso tempo, i tuoi atti quotidiani con calma e ripetuti, propositivi costruiscono un muro protettivo che cresce più in alto e più stabile. Tirare su la barca prima di un temporale, accendere la lampada per la notte, raccogliere e tagliare la legna»
La dimensione della vita su un’isola richiede, dunque, la capacità di fare i conti con la solitudine ed ecco che la piccola Tove esce di mattino presto, nel buio del sole che stenta a sorgere, e vaga alla ricerca di tesori sulla spiaggia e di piccole creature eccentriche che si nascondono negli interstizi naturali. Nell’apparente silenzio tutto sembra animarsi, suggeriscono le illustrazioni.
Non è difficile riconoscere la natura degli spiritelli con cui Tove gioca: la loro fisionomia eccentrica e inquietante sembra riconducibile ad un legame con la terra.
Piccoli semi, lombrichi, alghe, ossa, riflessi, pesci, legni lasciati dal mare a riva si trasformano in creature sgraziate e inconsuete si muovono e prendono vita accanto al passeggiare della piccola Tove.
In un cielo che non si apre mai, il buio si trasforma in temporale, il vento mescola e agita creature e pensieri che potranno poi trasformarsi in quel mondo inconsueto, strambo e particolarissimo che è la Valle dei Mumin.
La cupezza, la crisi- rappresentata dalla burrasca -, il buio… sono effettivamente elementi che tornano nelle storie della Jansson che a contraltare di un calore familiare - qui rappresentato dalla rossa casa di legno caldamente illuminata e dall’affetto viscerale della madre -, sente aleggiare incombenti tensioni e tragedie, specchio fedele degli anni in cui visse.
Una breve biografia finale cerca di far emergere questi elementi che altrimenti, alle orecchie di chi non conoscesse la biografia dell’autrice, risulterebbero sicuramente incomprensibili.
La storia in quest’ottica complessa di dialogo tra immagini e testo, diventa un ritratto di un’artista sfuggente come Tove Jansson.