Alcune delle cose che ho imparato o re-imparato durante queste vacanze:

1) il mondo è bello, pieno di bellezza, gratuitamente data;

2) la natura sa essere generosa, offre tesori inaspettati che mai ti aspetteresti o che vai a cercare e trovi;

3) mio marito mi fa ridere ed è libero, profondamente e veramente libero;

4) alle undici di sera pur di non spegnere la luce Saverio intavola con me discussioni letterarie, chiedendo il mio parere e fornendomi il suo;

5) le persone, i luoghi e gli oggetti possono mancarti così tanto che, a 5 anni, piangi, piangi come una fontana sulla strada di casa;

6) se sei in un bosco e ti siedi puoi sentire nient’altro che il vento;

7) si può essere felici ed informati del mondo anche senza televisione, facebook, twitter, pinterest, instagram… però una connessione internet ci vuole;

8) i cani imparano velocemente cose nuove (Taz è il nuovo re dei ruscelli) e ricordano altrettanto velocemente azioni ataviche (ha cercato di condurre un branco di mucche);

9) il pane fatto in casa, le marmellate fatte in casa, i funghi raccolti nel bosco hanno un sapore migliore di quelli che si possono comprare (a parte la composta di mele – che io non riesco a riprodurre – e di cui mi nutro forsennatamente in questi giorni)

10) vorrei che mio figlio godesse di ogni atomo di questa imponente bellezza e della gioia, perché se penso che esistono persone che pensano che l’ideale della vita sia distruggere, straziare, fare di testa propria… ecco l’angoscia mi assale.

Mentre pensavo a queste cose, mi rendevo conto che il cuore di ciò che ho vissuto è riassumibile con queste parole: la memoria è essenziale. Ricordare, riportare vicino al cuore, risvegliare ma anche scoprire e lasciarsi impressionare ridona vigore e vitalità alla vita, quella vera e Kubbe, un tronchetto timido e riservato, ci ha aiutato in questi giorni proprio a riflettere su questo aspetto.

Io mi immagino l’autrice Åshild Kanstad Johnsen vagare in uno dei meravigliosi, verdeggianti e silenziosi boschi norvegesi come Kubbe, il tronchetto, e il suo amico Gran, il piccolo abete, mentre passeggiano in compagnia: «Kubbe raccoglie, raccoglie, raccoglie. Ci sono così tante cose straordinarie da trovare».

Quello di Kubbe è il lavoro di chi guarda tutto con occhi attenti, ma anche grati e stupiti, il risultato è che la casa ben presto traboccante di tesori. L’atto della raccolta però potrebbe rimanere, tutto sommato, un gesto meccanico e basta. Non è così, perché Kubbe invece «prende qualche libro che parla di tutto quello che esiste al mondo» e «inizia a ordinare le cose in diversi gruppi». Ben presto bastoncini, ramoscelli, foglie, «cose che si piegano» riposano ben ordinate in «migliaia di scatole» su tanti scaffali. Poi anche le scatole paiono non bastare più: che fare? «Kubbe decide di telefonare alla Nonna. Dopotutto lei è così saggia! Quando lui ha un problema lui la chiama sempre». È la nonna a dare l’idea al nipote, o meglio è lei a ricordargli qualcosa che lui ha già visto, qualcosa che conosce già e di cui forse non aveva colto il nesso con sé: può fare un museo, il museo di Kubbe! Incomincia un gran lavoro (questa parte Saverio l’adora), perché Kubbe inizia con il farsi prestare tavoli, sedie e poi tappeti, campane di vetro, scatole… Quando il museo apre è un grande successo, un tale successo che ormai Kubbe non riesce più ad andare a fare le sue passeggiate: «E ORA cosa faccio Nonna?». La nonna rispolvera un nuovo-vecchio ricordo e così Kubbe fotografa tutti i suoi tesori, li racconta, li descrive e li fissa con la scrittura in un album: «Adesso tutti quelli che non hanno visitato il museo di persona, possono farlo attraverso questo album». E gli oggetti? Ognuno ritrova una sua strada e una sua vita: c’è chi finisce dall’antiquario, chi nella campana del riciclo del vetro, c’è anche chi, rotto e vecchio, si compone in strane e nuove forme… «È quasi ARTE… Forse dovrei fare un nuovo museo».

L’immaginario inconsueto dell’autrice e illustratrice norvegese colpisce soprattutto nell'iconografia dei personaggi (da godersi la fila di eccentrici figuri in fila al museo!) e nei colori (davvero pochi!). Le tavole, piene quasi maniacalmente di oggetti ordinati, ma anche di file di persone o di sequenze di azioni, comunicano una certa tensione, eppure il discreto modo di muoversi del protagonista, il suo percorso di crescita che avanza con passi indietro per prendere lo slancio, rende tutto non superfluo. Non sono esercizi di stile illustrativo, ma passaggi narrativi e di riflessione del testo: il ricordo è prezioso e in un primo momento si vorrebbe possederlo, così le tavole immote piene di oggetti acquistano il peso prezioso di schegge di ricordi propri. La nonna (simbolo non a caso della storia) invece accompagna indietro per mostrare il passo: il bello si deve condividere, ma si può anche lasciarlo andare, perché resterà sempre custodito nel cuore.

Non so se ho ricamato troppo su una trama in cui molti vedono altro (guardate che lavori hanno destato in Antonella Capetti e suoi ragazzi!), eppure è un libro che ho sentito molto in sintonia con me, in questi giorni in cui non volevo lasciare andare neanche un minuto, neanche un fotogramma, eppure il lavoro è solo essere disposti a lasciarsi toccare, affinché il bello fuori di noi risvegli il cuore.

P.S. in Norvegia Kubbe è una collana di più storie, vediamo se arriverà anche qui sui lidi italiani...

Kubbe fa un museo
Åshild Kanstad Johnsen - Virginia Ponciroli (traduttorice)

32 pagine
Anno: 2013

Prezzo: 12,90 €
ISBN: 9788837094850

Mondadori Electa editore
Anobii

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