Oggi, 3 novembre, si celebra il centenario dalla nascita di uno dei protagonisti della rivoluzione pedagogica italiana: Alberto Manzi, noto conduttore del programma Non è mai troppo tardi, ma anche e soprattutto maestro e scrittore.

In suo onore oggi sono felice di presentarvi un romanzo che per la prima volta arriva in Italia. La storia dietro questa storia è curiosa poiché Manzi diede alle stampe diversi romanzi e libri che fecero la storia della letteratura per l'infanzia italiana, tuttavia Il viaggio di Einar non arrivò mai sugli scaffali italiani, ma solo su quelli tedeschi con il titolo Der lange weg nach Arjeplog.

Gli incartamenti originali della stesura in italiano non sono mai stati ritrovati ed è proprio dall’edizione tedesca che l’editore Gallucci ha tratto una traduzione che permette oggi al pubblico italiano di scoprire la storia di Einar.

La storia editoriale di questo romanzo, può sembrare ininfluente, tuttavia questa vicenda mette a fuoco bene il lavoro di un uomo impegnato tanto nell’educazione dei ragazzi quanto aperto al mondo, a tutti i nuovi bisogni e alle diverse emergenze educative: penso al suo impegno nell’America del sud, al suo sostegno agli italiani all’estero…

Il viaggio di Einar è un romanzo che a differenza di altri, come Testarossa od Orzowei, ha una trama più asciutta e lineare e un tono più intimo e introspettivo.

Se negli altri romanzi la coralità di pensieri, di azioni e di scelte mostrava l’importanza della comunità come motore della vita e della crescita, quello di Einar è un viaggio apparentemente solitario, dove però il protagonista mostra di concepirsi come parte di una comunità più ampia, quella degli esseri umani.

Einar è un medico svedese impegnato come medico in un grande territorio lappone, anzi è l’unico medico della Lapponia da più di trent’anni. 

«L’inizio era stato così duro che chiunque altro avrebbe messo la testa a posto e avrebbe abbandonato presto i sogni di sfide e avventure. Invece erano state proprio le difficoltà a indurlo a restare. […] Einar combatteva non solo contro la malattia, ma anche contro il vento, la neve, le paludi, la montagne, i mesi invernali in cui il sole a malapena sorgeva e la temperatura precipitava a quarantacinque gradi sotto zero. […] I lapponi restavano in piedi solo grazie al loro coraggio; ma cosa può fare il coraggio, se non è sorretto dalla speranza? E la speranza di tutti loro era Einar»

I suoi pazienti sono sparsi tra lande e accampamenti spesso in movimento, spinti dalla ciclicità stagionale e dalle condizioni climatiche che in luoghi estremi come nel Nord sono più che un contesto di sfondo.

Il lettore ricostruisce questo quadro man mano che il romanzo avanza, perché  l’incipit in media res, lo aveva catapultato senza troppe spiegazioni di fronte a una chiamata, a notte fonda, poco prima dello scatenarsi di una tempesta: «[Angol ndr.] dice che Eskil ha urgente bisogno di te, è gravemente ferito».

Non c’è esitazione nel medico, non c’è calore, non c’è sonno, fame o riflessione cauta e ragionata sui rischi … Einar si veste, prende la sua sacca e parte.

Sono molti chilometri che deve affrontare per raggiungere il ferito, durante i quali tappe amiche lo conforteranno con un caffè, un fuoco, un passaggio in slitta: una mappa di punti luminosi che fanno da fari nella landa desolata e desertica del ghiaccio invernale.

Raggiunto con qualche imprevisto il ferito, Einar si rende conto che la situazione è molto grave: Eskil deve essere portato alla base dell’elisoccorso dove potrà essere trasferito in un ospedale.

Incomincia il viaggio di ritorno che si prospetta duro e rischioso. La slitta trainata dalle renne adesso ha il carico di Eskil, ferito grave e il vecchio Angol e il dottore devono affrontare una tempesta che fa di tutto per ingoiarseli vivi, per farli desistere.

«Per dieci, venti volte, Einar e Angol finirono sepolti sotto la neve; e per dieci, venti volte, liberarono con fatica se stessi e la slitta dal manto ghiacciato, pronti a riprendere il cammino. “Ha deciso di ucciderci” disse Angol […] “Ae, ae!” cercava di spronarsi Einar. “Siamo più testardi noi del vento”»

Tutto sembra contro di loro. La Natura mostra il suo volto più selvaggio e implacabile: un blocco di ghiaccio uccide le renne, la slitta va tirata a mano, l’amico Angol si sloga un piede, il vento fa perdere loro la strada, la neve acceca loro la vista… Einar si trova solo a dover trainare per 3 giorni un Eskil morente, sotto una tempesta incessante, senza rifornimenti, senza possibilità di fermarsi a riposare e costretto a fronteggiare lupi, orsi, crepacci, lastre di ghiaccio…

Einar ha la tenacia di chi sa che in gioco c’è la propria vita, ma anche il proprio compito che, nel caso di un medico, è un onorare e tentare con ogni mezzo di salvare la vita dei propri pazienti.

In questa odissea a tratti drammatica, avventurosa e ricca di colpi di scena sono i pensieri il grande nemico che assale il protagonista, più feroci della Natura stessa. Ma interessanti sono le risposte che la coscienza del protagonista contrappone ai pensieri cupi, allo scoraggiamento e alla paura:

«L’uomo continuava la sua lotta contro tutto e tutti. Contro i fiumi, il mare, gli animali selvatici, il vento, le tempeste, i microbi, le malattie e le grandi distanze; contro l'ignoranza, l'egoismo e la falsità, e alla fine avrebbe conosciuto e saputo dominare tutto questo. E dunque anche Einar lottava. Lottava perché si sentiva legato a Eskil, ad Angol e a tutte le persone d'animo più o meno ferreo. Quello era il suo campo di battaglia, se lo era scelto da solo anni prima, senza ascoltare i consigli degli altri, certamente dati in buona fede. E dal momento che era felice così, aveva davvero senso chiedersi il perché? Era felice»

Non è infatti tanto il finale positivo che segue un’avventura che più e più volte sembrava sull’orlo di trasformarsi in una tragedia, quanto piuttosto ogni pensiero che in quel lunghissimo travaglio accompagna Einar.

Se negli altri romanzi il tratto avventuroso si mescola a riflessioni e a pensieri profondi dagli interventi degli altri protagonisti, in una dimensione corale, in questa storia è il protagonista stesso a fare da contraltare a se stesso, corpo e anima, corpo e pensiero, sfinito il primo e certamente affaticato il secondo che si fronteggiano di fronte all’unica domanda: perché lottare per qualcun altro, diverso da sé?

Se la risposta negli altri romanzi era più articolata e arrivava a fare intuire qualcosa di soprannaturale qui la risposta rimane aperta: la felicità?

La scrittura di questo autore è precisa, senza fronzoli poco avvezza alle descrizioni e alle ampie volute, i dialoghi sono il tratto più evidente. Eppure Manzi non è mai banale, è preciso in ciò che deve nominare e incalzante nei passaggi più avventurosi che in questo testo sono disposti in un climax ascendente, estenuante che sembra non raggiungere mai l’apice.

L’introduzione dell’autore che parla di Einar come di un personaggio «reale» definisce la narrazione come verosimile - come poi affettivamente appare - e inserisce il romanzo in quello degli esploratori e di tutti coloro che si scontrarono in modo diretto e drammatico con la forza della Natura.

Un’avventura quasi filosofica dagli 8 anni.

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Il lungo viaggio di Einar Alberto Manzi - Heino Meissl - Angela Ricci (traduzione dal tedesco) 128 pagine Anno 2024 Prezzo 12,90€ ISBN 9791222107561 Editore Gallucci
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