Era il 2000 e io non avevo ancora 18 anni, eppure mi ricordo benissimo quell’anno. Ero un’adolescente a cui sembrava di non fare niente, di non combinare niente. Non mi succedeva niente, io non facevo (praticamente) niente e comunque se facevo qualcosa mi annoiavo. Scrissi una lettera ed un sacerdote, alla fine della quarta liceo, mi rispose: l’incontro con quell’uomo mi cambiò la vita. Tutto riprese colore, ogni particolare della mia giornata mi interessava, non c’era persona che non avevo voglia di incontrare, libro che non desideravo leggere, avvenimento su cui non volessi documentarmi… niente fu sacrificato, perché quel sacerdote prese sul serio ogni pensiero, proposta, idea che mi passarono per la testa. Ma prima di quell’incontro le persone non c’erano? I libri non erano ancora stati scritti? Non succedeva niente in Italia? No, ma quell’incontro aveva trasformato quel niente che sembrava niente in un tutto da scoprire.

Questa è l’esperienza a cui deve aver pensato Yael Frankel, illustratrice e scrittrice argentina quando decise di mettersi a scrivere Niente di niente.

Sono due i protagonisti di questa storia: una pietra blu ed un bambino. entrambi dichiarano che a loro non succede «niente di niente, ma proprio niente di niente». La pietra si dilunga in osservazioni: nessuno la guardava, «non aveva amici, né mamma, né papà, né giochi né divertimenti, né niente. Ma proprio niente di niente. […] Non mangiava, non chiedeva, non prendeva, né dava… non si muoveva, non faceva niente. Ma proprio niente di niente». Questo ritornello si ripropone costante pagina dopo pagina, raccontandoci un quadro di devastante aridità e noia… niente. Poi «c’era anche un bambino. Sì, un bambino a cui non succedeva niente… Niente in primavera e niente in autunno, Niente di niente». La situazione possibilmente ci sembra peggiore: in fondo che non succeda niente ad una pietra, ma ad un bambino? Eppure.

Se torniamo indietro e osserviamo le figure che scorrono liquide dietro al testo impregnato di ostinata e definitiva negazione della storia della pietra notiamo… che c’è un mondo. La pietra racconta a parole il suo niente, ma intanto le immagini raccontano di bambini, girandole, pesci, piedi, calze, sabbia, altre pietre e ruote, carrettini, secchielli, cielo, aria… Lo stesso accade con il bambino: è tutto niente, non c’è niente eppure le immagini raccontano di letti, gatti, automobili, sciarpe, alberi… «Finché, un giorno, inciampò in una pietra».

Il mondo sembra quasi trasfigurato in un blu elettrico, ma è sempre lui (i sassi in terra ci sono sempre stati, quei pantaloni…): non era niente, adesso lo vedo.

Ho trovato questo libro molto adulto, molto adolescenziale nell’esperienza che racconta (aspetterò a leggerlo a Saverio): bisognerebbe poterlo regalare a qualche giovane che pensa che niente ci sia nel mondo e niente accada, perché ritroverebbe la speranza. Le immagini dell’illustratrice argentina non mi sono dispiaciute, ma non le ho trovate entusiasmanti. Sono un po’ grigie e piatte, ma forse era proprio l’effetto che si desiderava ricreare. Il tratto fine, leggerissimo, le contaminazioni sudamericane, i collage, l’uso di tecniche digitali che ingessa, il tutto rende la sequenza delle tavole indipendenti, sole, eppure anche in questo caso se ci fate caso le immagini raccontano diverse storie e lasciano tanto da immaginare. La scelta dei colori complementari – arancione e blu – per caratterizzare i due protagonisti rende le due storie unite già dall’inizio e dialoganti.

Aggiungo questo: sono appena tornata da due giorni trascorsi in un monastero di clausura. Custodite in un antico monastero una sessantina di donne (tra cui tanti volti giovanissimi) trascorre la giornata, che inizia con la levata delle 4.20, a pregare: lavorano 5 ore, il resto del tempo lo trascorrono a pregare. Io raramente ho incontrato donne più libere e presenti a se stesse, il mondo direbbe che non fanno niente, ma in fondo pare che sia solo questione di riuscire a vedere.

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Niente di niente Yael Frankel 32 pagine Anno 2015 Prezzo 14,00 € ISBN 9788867450237 Editore Kite editore
Yael Frankel, Niente di niente, Kite
Commenti
7 Ottobre 2015
Maria

Grazie Vivi!

5 Ottobre 2015
Vivy

Che bello a volte non fare proprio niente!
Forse oggi sia noi sia i nostri figli ci dimentichiamo quanto possa essere bello non avere niente a fare.
Siamo troppo presi dal fare e dall’organizzare, una corsa continua.
Mi è piaciuto molto il modo in cui hai descritto il libro, soprattutto la parte in cui hai ricordato te alla soglia dei 18 anni.
Ti abbraccio
Vivy

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