Dopo un paio di anni di silenzio la coppia Erin e Philip Stead torna con un lavoro strabiliante, capace di accompagnarci con intensità dentro il cuore dei bambini. Se in Il raffreddore di Amos Perbacco avevamo ritrovato l’incantata empatia dell’infanzia, in Lenny e Lucy ci viene mostrato il percorso faticoso della crescita, attraverso la paura, il coraggio, il tempo e l’amicizia.

Il libro si apre inaspettatamente già in moto, in viaggio, in un bosco con Peter, il protagonista, che presto capiremo essere un bambino di 7-8 anni, che esclama: «Penso sia davvero una pessima idea».

Attraverso un bosco fittissimo, austero e quasi asfissiante nella densità nuda e ripetitiva dei lunghi tronchi di pino (o sarà eucalipto, oppure?), un'automobile familiare, un po’ scassata e straripante di sacchi e valigie arriva ad una nuova casa, al di là di un ponte.

È quest’ultimo, come Erin ci fa capire immediatamente grazie ad uno scorcio ardito, che si impone come simbolo dell’inquietudine, strada aperta e incontrollata che lascia spazio all’ignoto, al resto, al diverso, al “più grande” di sé. Ed è proprio questa tavola a farci intuire che la storia non solo è raccontata da Peter, ma che le illustrazioni stesse sono l'esatta fotografia di ciò che gli occhi e l'animo del bambino vedono attorno a sé: la casa nuova quasi scompare dietro all’imponenza del ponte, il padre è figura discreta e muta. Ci sono solo Peter e Harold, silenzioso ed empatico amico peloso, e noi guardiamo tutto attraverso i loro occhi. La prima notte «Peter e Harold guardarono dalla finestra del piano di sopra al di là del ponte di legno, verso il bosco buio. Molte cose terribili si nascondevano fra gli alberi. Né Peter né Harold riuscirono a chiudere occhio».

Con geniale intuizione Erin raffigura una stanza gigantescamente grande e vuota, con una carta da parati spropositatamente dimensionata e movimentata e su questa la finestra con il bosco fuori immobile e calmo. Lo spazio quindi si deforma internamente rispecchiando i moti inquieti dell’animo del piccolo Peter, che è solo, solo con Harold e la sua paura.

Peter però è un bambino ardito e coraggioso e il giorno dopo«ammonticchiò un pila di cuscini che crollò per sei volte… Poi tagliò e cucì e impacchettò… Quando ebbe finito chiamò la sua creatura Lenny, il guardiano del ponte. “Lenny sorveglierà il ponte” disse Peter, “e terrà il bosco buio dall’altra parte, proprio dove deve stare”». La seconda sera è una diversa preoccupazione ad assillare Peter: «Pensi che Lenny si senta solo?».

«Così, il giorno dopo, Peter portò la colazione a Lenny… poi raccolse tutte le foglie secche che trovò… Quando ebbe finito chiamò la sua creatura Lucy. Lucy diventò grande amica di Lenny. Quella notte tutti dormirono».

Il controllo e il contenimento dell’irrazionalità e della paura sono passi richiesti ad ogni piccolo uomo che cresce. L’assenza narrativa del genitore in questo caso descrive correttamente la sensazione che il bambino prova in questi faticosi passi della crescita ed è anche in un certo senso necessaria alla crescita. È il feticcio (Lenny) su cui si proietta la figura contenitiva e protettiva del padre, ed è un oggetto che agli occhi bambini risulta vivo e reale quanto la propria paura. Io avevo paura del buio e questo timore irrazionale che mi coglieva era controllato da me solo grazie alla presenza di Bobby, il mio cane di pezza, che con solida e stoica volontà accettava ogni notte di vegliare accanto a me.

Pieno di speranza vera, poiché ispirata alla vita, è poi il finale. Infatti Peter, che non vedeva nient’altro che il ponte e il bosco, rassicurato da Lenny e Lucy riesce ad accorgersi di Millie che «abitava nella casa accanto». Lei cerca i gufi, e non ne ha mai visti (eppure se scorrete indietro le pagine vi accorgerete che un gufo abita proprio dietro a casa loro!). Così nell’ultima pagina ciò che vediamo sono due case così vicine che quasi si sfiorano, un piccolo ponte e un bosco quasi invisibile sullo sfondo. I bambini hanno fatto il passo ed ora vedono le cose come sono veramente.

«Da allora, anche dopo che tutte le luci furono spente, il bosco buio restò dall’altra parte del ponte… proprio dove doveva stare».

La scelta del grigio, così delicata in Amos, è qui più opprimente e riesce con facilità a mostrarci la densità e il sapore sgranato della paura infantile. La delicatezza della linea regala invece quelle levità alle espressioni e ai gesti che parla di una cura invidiabile. I tocchi di colore, i gialli, i verdi, gli azzurri, i viola e i rossi sono dosati e lampeggiano quasi a testimoniare la vita che scorre nei soggetti toccati.

Un libro splendido che è piaciuto a Saverio e anche a me, capace di parlare di paura in modo vero e profondo: perché la paura è umana e vera e non deve essere cancellata ma affrontata per fare un passo, in avanti.

Lenny e Lucy

Philip Stead - Erin Stead - Cristina Brambilla (traduttrice)

40 pagine
Anno: 2015

Prezzo: 13,00 €
ISBN: 9788883623516

Babalibri editore
Anobii

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