Certi viaggi sono fuori dal tempo e dallo spazio. Stamattina sul treno delle 5,54, per una strana coincidenza, il vagone solitamente stipato di pendolari chiassosi e assonnati ad un tratto si è svuotato e io sono rimasta sola. Anche il cielo chiaro del mattino, assediato da nuvole grigio fumo, contribuiva a rendere surreale e denso il silenzio di un viaggio inaspettato: dove la case, le cascine, i campi ed i cantieri erano gli stessi ma non erano più loro. Un viaggio simile, onirico e silenzioso, è quello del curioso gatto de Il mare di Marianne Dubuc (io l’ho chiamato Astolfo). Per saltare sul treno di questo viaggio uno solo è il requisito: coprite immediatamente con una mano il titolo trascritto in copertina con un carattere tremendo (ITC Bradley Hand – mio marito ha un occhio micidiale), anzi prendete l’edizione originale e godetevi il titolo scritto a mano, tanto è un libro silenzioso e almeno capirete di essere saliti su un Orient Express e non su uno scalcagnato regionale. Una volta ovviate le uniche formalità, siete pronti.

Astolfo abita in una silenziosa casa con le pareti ricoperte da carta da parati, il cielo è bianco, nuvoloso, l’aria grigia e plumbea, il piccolo coinquilino di Astolfo nuota placido nella sua boccia, davanti alla finestra: non c’è nessuno, non si ode nessun rumore. Eppure non siamo partiti perché tutto è ancora molto reale e infatti Astolfo, con sguardo sornione, pensa bene di sfruttare l’occasione e con molta nonchalance («sai insomma ho caldo mi rinfresco la zampina» :) decide di regalarsi uno spuntino base di pesce, non ricordandosi che l’acqua, come in moltissime storie di ogni tradizione, è magica, e il vortice che si crea apre come un portale incantato per l’accesso ad un mondo “altro”. Insieme con Astolfo in questo turbinio di acqua, zampa e pesce preoccupato sfondiamo l’impalpabile barriera dell’immaginario, trapassiamo le nostre colonne d’ercole, piombiamo in un sogno e infatti… il pesce prende il volo. Siamo partiti. Come in ogni viaggio al di fuori del tempo non c’è fretta, ma c’è una meta ed Astolfo in quattro balzi ponderati ma tranquilli esce dalla finestra e si avventura a caccia del pesce tra tetti silenziosi e solitari, con finestre chiuse o cieche, in stanze ordinate ma vuote, tra panni puliti ma abbandonati: non un’anima viva in giro. Poi arriva la selva grigia ed immota abitata da fantomatici uccelli rossi ed uccelli pesce, che sembrano posati lì solo per confondere e ritardare il nostro Astolfo, perché intanto il pesce (quello vero, con le occhiaie di preoccupazione) va, fuori dalla selva va, va va verso le stelle. Astolfo dopo un attimo di esitazione, schiacciato dall’imponenza del salto che gli è richiesto si butta verso la volta celeste, zampetta appoggiandosi alle stelle e raggiunge la luna. Oh luna, luogo e contenitore di cose perdute e desiderate! Ma come sappiamo dalla luna bisogna scendere (anche perché il pesce se n’è bello che andato!), così in groppa ad una cometa, novello carro infuocato, Astolfo torna sulla terra e finisce in una grotta e poi in un altro paese fantasma e poi… («ma quel perfido pescioluncolo come avrà scoperto l’unico luogo in cui non posso, non posso andare?!?!») su un molo davanti al mare. Strabuzza gli occhi pieni del panico il nostro gattone, sono gli occhi di chi ha intuito l’imminenza della catastrofe: l’acqua è fredda, che dico fredda, gelata. Astolfo non può crederci, è allibito, e il pesce occhieggia non ancora certo della libertà finalmente conquistata. Il gatto con circospezione allunga il piedino e brrrrrrrr «no no no non se ne parla»: non gli resta che accucciarsi sul molo a osservare il pesce che finalmente senza occhiaie saltella sul pelo dell’acqua. Poi il sole sorge e il sogno finisce.

La storia narrata dalle immagini di Marianne Dubuc è davvero molto colta e per certi versi intellettuale: io ho intravisto Ariosto, Luciano di Samosata, ma anche Dante e certe favole della tradizione orale. Un viaggio onirico, inaspettato, atemporale: un tempo sospeso nell’incoscienza del sogno. I colori ridotti ai toni del grigio, del nero e del rosso estrapolano la storia dallo spazio e dal reale. La fissità del cielo e la luce abbagliante bianca impediscono al tempo di introdursi come regolatore della narrazione. Il tratto di Marianne è assolutamente riconoscibile: i pieni colmi di tratti minuscoli e diversi che vivificano le immagini, la compattezza e la finitezza ricercata nella conformazione delle figure. Io amo molto questa mano. Peccato per alcune imperfezioni grafiche evidenti in alcune tavole.

Nel complesso questo silent book si presta a poche varianti interpretative, il cammino è guidato passo passo dall’inizio alla fine: da un chiara apertura ad una ferma chiusura. I particolari intorno sono ridotti all’osso e offrono pochi, se non nessuno, spunto per trame parallele. Io l’ho trovato un libro frutto di un pensiero, chiaro e non casuale, curato e simbolico, ma un po’ difficile per alcuni aspetti. Saverio non lo ha molto apprezzato. Rimane però il fatto che Marianne mi piace un sacco e se questa sua opera prima non ci ha entusiasmato, presto vi parleremo del suo ultimo libro giunto in Italia, che ha già fatto stragi di cuori ;)

Il mare

Marianne Dubuc

92 pagine
Anno: 2012

Prezzo: 14,95 €
ISBN: 9788889854860

Lo ed editore
Anobii

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Commenti
8 Luglio 2016
Intervista a Marianne Dubuc – Scaffale Basso Scaffale basso

[…] tuo primo libro Il mare, agli ultimi mi sembra che alcuni aspetti della tua narrazione siano cambiati: dal viaggio onirico […]

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